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Se scrivere di Carmelo Bene si delinea come un’impresa oggettivamente ardua, dato il carattere ostile del discorso beniano a ogni pratica ermeneutica, scrivere adeguatamente di Carmelo Bene è un percorso quasi impraticabile. Se poi il testo a cui ci si vuole approcciare con chirurgica precisione e religioso metodo è quel “poema impossibile” de ‘l mal de’ fiori (2000), ultima fatica dell’autore salentino e, al contempo, emblematico atto finale – assolutamente non consolatorio – del dissidio intellettuale tra Bene e la poesia italiana del Novecento, l’impresa assume i connotati del sovrumano. Ciononostante, data la penuria di interventi critici sulla produzione beniana di genere non drammaturgico, soprattutto nel campo della lirica, benché gli scritti di Fava e Giorgino brillino per qualità e acutezza, si sentiva assolutamente il bisogno di arricchire e rinfrescare il panorama intellettuale con un puntuale e nitido commento dell’opera linguisticamente, architettonicamente e tematicamente più complessa dell’intera produzione beniana. Alessio Paiano, con il suo Dentro ‘l mal de’ fiori. Il poema impossibile di Carmelo Bene (Edizioni Kurumuny 2022), riempie quel vuoto interstiziale lasciato finora scoperto, facendo quindi un gran servizio agli studi su Carmelo Bene e alla memoria dello stesso intellettuale salentino.
Bene investe ‘l mal de’ fiori di un glorioso onere, quello di rappresentare il testamento culturale della sua intera produzione artistica, condensando nei singoli versi ogni afflato letterario e extra-letterario assimilato dalla mente dell’autore pugliese nel corso di tutta una vita: dai poeti provenzali a Hugo e Verdi, dalle tradizioni popolari a Pinocchio, da Lorenzaccio a Deleuze e Guattari, dalla medicina a Michelangelo, la forza centripeta del poema non risparmia nessuno. Tuttavia, una conoscenza enciclopedica – unita allo studio capillare della produzione beniana – non è sufficiente a scardinare un’opera volutamente inaccessibile, meticolosamente strutturata e intellettualmente estrema come ‘l mal de’ fiori, dove, nonostante la forma grottescamente ispirata ai poemi modernisti, la destrutturazione del linguaggio – una sorta di mostro di Frankenstein in cui convivono numerose lingue e dialetti – prevede comunque la conservazione di uno spiraglio di senso, decifrabile esclusivamente attraverso la ricerca della sua oralità originaria. Un poema, insomma, che resiste tanto alla critica manipolatrice, quella che per Bene vuole sempre dare un senso a tutto, quanto a una certa schiera di poeti novecenteschi che, con una certa vis polemica, l’autore salentino accusa di essere composta da demagoghi emarginati che alludono alla collettività per fini puramente retorici, ma allo stesso tempo intimamente incapace di sbarrare l’accesso a chi ha impregnato qualsiasi aspetto della propria esistenza del pensiero beniano.
Valutato di fronte a tali premesse, il puntualissimo commento al testo proposto da Paiano in Dentro ‘l mal de’ fiori. Il poema impossibile di Carmelo Bene non può che costituire una perla rarissima all’interno del complesso panorama di studi beniani. Con stile limpido ma mai eccessivamente divulgativo, Paiano articola il suo saggio in tre capitoli, a cui fanno da corredo un’interessantissima introduzione, dove vengono presentate le vicende editoriali e le strutture fondanti del discorso de ‘l mal de’ fiori, e una curata sezione esplicitaria, in cui, sfoggiando una particolare consapevolezza degli strumenti critici della lirica, l’autore sviscera e scardina ogni elemento strutturale dell’ultima poesia del poema. I capitoli, seguendo il chiaro schema riassuntivo proposto in calce alla nota introduttiva, guidano il lettore attraverso ciascun testo de ‘l mal de’ fiori, evidenziando di volta in volta come, per una corretta ermeneutica, si debba anzitutto riconoscere la scienza, l’arte o la disciplina che fa da collante all’interno di quella specifica sezione dell’opera: dalla mistica del Siglo de Oro, che lega la prassi del depensamento all’estasi, alla scultura berniniana, considerata da Bene la massima espressione artistica, dalla medicina che domina la sezione Anatomie, probabilmente l’esito più alto dell’intero poema, al mito classico, le poesie in cui Bene rivisita la storia di Niobe, Paiano recupera il senso celato dal linguaggio destrutturato e babelico de ‘l mal de’ fiori, scandendo la lenta discesa nell’inorganico, quel vuoto incomunicabile e pre-esistenziale dove l’Aion, l’afasia del dire e l’estasi intesa come svuotamento di sé prendono idealmente forma.

Tutto, nel poema, tende a scivolare verso l’inorganico attraverso strategie di manomissione e deperimento, come il disgusto del verso e la sopraffazione del linguaggio sul poeta, ridotto a essere passivamente parlato. Paiano evidenzia brillantemente tali meccanismi, sottolineandone progressivamente l’attivazione: l’amor cortese degrada in amor facchino e infine in porno; il corpo anatomico viene smembrato sul tavolo operatorio della poesia, che ne evidenzia la natura imperfetta; il soggetto poetante annichilisce completamente finché, ormai ecceduta l’arte e divenuto capolavoro, riesce a portare a compimento il processo di rimozione del mondo organico. Tutti questi meccanismi celano, ovviamente, un sostrato psicanalitico, frutto della particolare predilezione di Bene per gli scritti di Lacan, Deleuze e Guattari, che Paiano non manca mai di rimarcare e presentare con raffinata erudizione, amplificando enormemente la portata culturale del saggio. Di particolare pregio, inoltre, la rigorosa analisi, arricchita da illuminanti parafrasi, delle poesie anatomiche de ‘l mal de’ fiori, dove Paiano esibisce un invidiabile controllo sui testi della sezione strutturalmente e linguisticamente più articolata dell’intero poema. In questi otto componimenti, infatti, Bene tenta di licenziare il proprio corpo svelandone ogni guasto, così da raggiungere la deleuziana condizione di Corpo senza Organi, passaggio obbligato per scivolare nell’inorganico. Si inaugura quindi una lunga catabasi nel mondo anatomico, dove, come nel modello infernale dantesco, affiorano in forma esplicita o mediata riferimenti da numerose fonti, quali Joyce, Giuseppe da Copertino, Gesù Cristo, Pinocchio, Carroll, Bellini, Montale, Leopardi, Hugo, Eliot e Freud. Infine, a emergere mestamente sulla pagina, dopo questa infinita serie di manomissioni al corpo organico del poeta, rimarrà il solo “soma scritto e scrivente”, come evidenzia Paiano.
Il capitolo conclusivo di Dentro ‘l mal de’ fiori. Il poema impossibile di Carmelo Bene pone gradualmente attenzione sulle ultime poesie dell’opera, quelle che, contemplando in un’estasi rovesciata la caducità e la morte di tutte le cose, precipitano fino alla “sensuata assenza” dell’inorganico. Tutto, a questo punto del poema, è ormai annichilito: la vita coniugale è meccanica e indifferente, l’infanzia è irraggiungibile, il ricordo è deprimente, il porno non soddisfa più il desiderio sessuale. Tuttavia, come sottolinea Paiano, in questa condizione ci viene indicata la via d’accesso al mondo dell’inorganico, quella raffinata arte scultorea che, una volta illuminata dallo spettacolo dell’estasi, rivela la vera funzione della scrittura – indagare un ciclo orogenetico di materia già presente – e conduce il poeta al vuoto delle cose inenarrabili. Liriche, insomma, dal complesso impianto filosofico e costellate di innumerevoli riferimenti culturali, ma che proprio per questa ragione permettono al dettato di Paiano di slanciarsi e impreziosirsi come in poche altre occasioni dei capitoli precedenti, seppur, va detto, al prezzo di una leggera perdita di precisione e affabilità. Dentro ‘l mal de’ fiori. Il poema impossibile di Carmelo Bene, in breve, rappresenta uno strumento utilissimo per accedere all’opera più cervellotica dell’intera produzione beniana e sviscerarla in ogni sua componente. Il saggio di Paiano, forte di una meticolosa organizzazione e di un’inaspettata chiarezza, nonché di un ampissimo respiro e di una solida base bibliografica, si candida senza dubbio a un ruolo di rilievo all’interno degli studi critici su Carmelo Bene e si presenta come un testo imprescindibile per la comprensione del pensiero dell’intellettuale salentino, il quale avrebbe certamente apprezzato il discorso critico di Paiano, poiché, rifuggendo ogni tipo di furia esegetica, accoglie umilmente l’esistenza di buchi neri che, come certi drammi insegnano, non devono essere interpretati ma semplicemente ammirati
Immagine: particolare da Nostra signora dei turchi (1968) (fonte: File:Nostra signora dei turchi (scena 2).jpeg – Wikipedia)
Yuri Sassetti nasce il 15 gennaio 1995 a Siena. Una volta conseguito il titolo di laurea triennale in Studi letterari e filosofici all’Università degli Studi di Siena, discutendo una tesi sulle figurazioni del vampiro nella letteratura gotica inglese, prosegue la sua formazione iscrivendosi a Lettere moderne, periodo in cui si concentra principalmente sullo studio delle letterature anglofone e francofone. Nel 2021 discute una tesi sui fenomeni socioculturali di schiavismo e razzismo in alcuni classici inglesi e statunitensi e, successivamente, si iscrive al Master di II livello Traduzione letteraria ed editing di Siena. Attualmente collabora con alcuni blog letterari, fra i quali figurano “Quaderni contemporanei” e “Ex Libris 20”. Ama suonare, adora il cinema impegnato e diffida di coloro che non cambiano mai idea.