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Tutti noi conosciamo (o dovremmo conoscere) la distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno. Il primo è – letteralmente – la cosa come ci appare, l’oggetto con i suoi colori, odori, sapori; il mondo degli alberi e delle montagne, dei tavoli e delle sedie, degli oggetti tangibili di tutti i giorni. Il fenomeno è l’unico modo che abbiamo, per Kant, di conoscere qualcosa. Questo perché la cosa in sé ci è preclusa: possiamo conoscere il mondo solo attraverso i sensi. Ciò che va oltre è solo pensabile (“noumeno”, appunto, con un calco sul greco antico “nous”, cioè mente o pensiero, là dove “fenomeno” deriva da “phainomenon”, cioè ciò che appare o ciò che si mostra). Questa distinzione capitale è al centro della cosiddetta rivoluzione copernicana che avviene nella Critica della ragion pura (I ed. 1781), così indicata da Kant poiché l’attenzione si sposta dall’oggetto al soggetto, l’uomo. Se Copernico, infatti, ribaltava la prospettiva sul sistema solare mettendo al centro il Sole anziché la Terra, Kant trova che l’oggetto in sé non sia come ci appare: è solo attraverso gli schemi trascendentali (per semplificare la percezione dello spazio e i cinque sensi) che l’uomo crea l’oggetto. Da Kant in poi, per i filosofi il soggetto non percepisce la realtà, bensì la costruisce. Un esempio banale (che non si trova in Kant) è quello del daltonismo: una mela non è di per sé rossa o marrone, ma è il soggetto che la percepisce ad attribuirle un colore in base al tipo di coni presenti nei suoi occhi. Per questo le cose sono solo come ci appaiono. Ma allora la cosa in sé come si presenta? Questa domanda ha un senso profondo e molti filosofi tentano di darle una risposta, finché qualcosa non cambia. Da un lato si schierarono i razionalisti, primo fra tutti Hegel, e dall’altro i materialisti, il cui campione può essere considerato Marx. I primi dichiarano che la preminenza nella fondazione del reale deve essere del pensiero, i secondi della materia grezza (per intenderci gli atomi teorizzati da Democrito ed Epicuro e scoperti da Rutherford, per citare alcuni fra i tanti filosofi e scienziati atomisti della storia). È la materia o è l’idea che fonda il mondo? Tale diatriba ha senso finché la definizione di noumeno resta oscura e in qualche modo ancora ambigua. Infatti, nella definizione kantiana di noumeno restano indistinte e in stato di indifferenza due interpretazioni a prima vista altrettanto valide, tanto che la questione resta impossibile da dirimere fintantoché la prospettiva non viene ribaltata un’altra volta. Solamente con Heidegger, infatti, la domanda perde di senso ed inizia ad essere percepita come fuorviante. Prima di definire i due aspetti del noumeno kantiano può essere utile anticipare che il pensiero di Heidegger è più avanzato rispetto alla dicotomia idealismo/materialismo semplicemente perché non è costretto a scegliere se sia la materia o l’idea a fondare il mondo.
Il fenomeno è l’unico modo che abbiamo, per Kant, di conoscere qualcosa. Questo perché la cosa in sé ci è preclusa: possiamo conoscere il mondo solo attraverso i sensi
Procediamo per gradi: 1) il noumeno è inaccessibile all’uomo e ‘nascosto’ dietro al fenomeno, la cosa che appare; 2) il noumeno è definito come la cosa in sé; 3) il noumeno è definito come pensabile; 4) l’essere in Heidegger possiede entrambe queste ultime due caratteristiche, ma con qualche differenza rispetto a Kant: 4.1) l’essere non è una cosa (“essere” diverso da “ente”, dal latino “ens”); 4.2) l’essere non è prettamente pensabile, ma il pensiero avvicina l’uomo all’essere. Meglio ancora: il linguaggio avvicina l’uomo all’essere. Ma come siamo arrivati a questa considerazione? Abbiamo forse perso di vista il punto focale della questione? La risposta naturalmente è negativa. Cosa lega, dunque, il noumeno al linguaggio umano? Il responso è semplice: se a) il noumeno è ciò che è solo pensabile e b) il pensiero umano si esprime attraverso il linguaggio, allora c) il noumeno (che è anche “cosa in sé”) è esprimibile solo nei termini linguistici. Ma ci resta ancora da chiarire il punto principale: come si lega la cosa in sé a ciò che è pensabile? Questa è la doppia natura del noumeno kantiano. Nel noumeno Kant mette insieme due cose. La prima è ciò che è diverso dall’ente, dal fenomeno come appare, dagli oggetti del mondo: è l’essere di cui parlano gli atomisti, che sfugge ai sensi dell’uomo, come dimostra sempre di più – da Heisenberg in poi – la fisica quantistica, cioè la scienza del molto piccolo, paradossale e sorprendente, inconciliabile con la logica e le leggi della relatività del mondo a cui siamo abituati, quello delle scale dal grande al molto grande. A questo proposito Heidegger ci parla della necessità di una fondazione ontica dell’ontologia [1]. Paroloni, lo so, ma a Heidegger piace usarne e anche spesso. L’ontologia è in breve la scienza dell’essere, ovvero del fondamento della realtà apparente, mentre “ontico” è un sinonimo di “cosale” e indica il mondo degli oggetti come essi appaiono. (Per un quadro più chiaro, il filosofo di Meßkirch imputa a tutti i filosofi che lo precedettero – la «vecchia metafisica» – di aver confuso l’essere con l’ente, il fondamento con ciò che è fondato, e di aver parlato dell’essere non in termini ontologici ma in termini “onto-teologici”, persino a Kant, e adesso possiamo finalmente farci un’idea del perché).
L’ontologia è in breve la scienza dell’essere, ovvero del fondamento della realtà apparente, mentre “ontico” è un sinonimo di “cosale” e indica il mondo degli oggetti come essi appaiono
Se abbiamo già parlato di quella materiale, la seconda natura del noumeno non è cosale, bensì razionale: esso – il noumeno – non può essere percepito come viene percepito il fenomeno, di conseguenza possiamo solo immaginarcelo, o meglio pensarlo. La prima natura è dunque prediletta dai materialisti, la seconda dai razionalisti. Per questi ultimi non è una cosa a creare il mondo, ma il pensiero, l’idea [2], secondo un’interpretazione radicalizzata dell’argomento di Kant per cui sono gli schemi trascendentali a creare il fenomeno e non può essere il contrario. Per questo motivo alla corrente di pensiero che va oltre questa dicotomia è stato dato un nome che faccia pensare all’opposto del razionalismo: irrazionalismo. Sta al lettore valutare quanto sia irrazionale una corrente che riconosce la doppia natura del noumeno kantiano sia come pensiero, sia come cosa in sé, cioè come qualcosa di non solo radicalmente diverso dal fenomeno, dal piano ontico delle cose del mondo, ma anche come una doppia fondazione di esso. Perché è di questo che si sta parlando: di fondazione del mondo [3]. L’ulteriore rivoluzione copernicana rispetto a quella di Kant sta nello spostare l’attenzione dal soggetto (che l’aveva strappata all’oggetto/ente/ontico) all’Essere, lì dove esso fornisce sia una fondazione razionale (l’ontologia) sia una fondazione ontica di questa ontologia (la fisica quantistica). Senza questa doppia natura del noumeno non possiamo capire l’Essere e senza capire l’Essere non possiamo capire l’uomo. Ma per completare questo passaggio ci vorrebbe ancora molto spazio e di conseguenza un nuovo articolo. Nel frattempo, prego i lettori di portare pazienza.
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[1] Ontico e ontologico sono gli opposti che in Heidegger indicano il mondo delle cose contrapposto quello dell’essere, e possono essere accostati – con la dovuta cautela – al fenomenico e al noumenico in Kant.
[2] Questa parola già ci proietta nell’orizzonte di pensiero che è appartenuto prima a Platone e poi a Hegel, per citare due dei più celebri razionalisti, ai quali si potrebbe aggiungere – senza allungare troppo la lista – Descartes («Je pense, donc je suis»).
[2] Per mondo si intende quello delle cose, creato appunto dalla forma pura a priori dello spazio e dai cinque sensi, come anche il mondo interiore, che per Kant è dominato dalla forma pura a priori del tempo e si dispiega in ricordi, sentimenti, emozioni, intenzioni e così via.
Pierfrancesco Quarta è nato il 22 Dicembre del 1995 a Fiesole, paesino di origini etrusche in provincia di Firenze, città in cui cresce e conclude gli studi classici. Dopo aver conseguito la laurea triennale in Studi letterari e filosofici all’Università di Siena con una tesi sulla concezione esperienziale del romanzo nel pensiero di Walter Benjamin, torna nuovamente a Firenze, dove è attualmente iscritto al corso di laurea magistrale in Scienze filosofiche. Appassionato di filosofia, letteratura, cinema e soprattutto di musica, ha alle spalle un passato da batterista in una band emergente fiorentina.