Letteratura

William in William / Archetipi shakespeariani in ‘As I Lay Dying’ di Faulkner (parte II)


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4. Addie e “Macbeth”

Addie, la madre morente di Cash, Jewel, Darl, Dewey Dell e Vardaman, nonché la moglie di Anse, rappresenta il “primum movens” del romanzo, dal momento che è lei ad esprimere la volontà di farsi seppellire a Jefferson, costringendo la famiglia ad una traversata di quaranta miglia, e sono i rapporti che la legano ai vari personaggi del testo a costituire il fulcro del romanzo. Nonostante questo, anche a Addie, come nel caso di Jewel, Faulkner concede un solo monologo per permettere al lettore di accedere all’interiorità della donna, oltretutto quando lei è già morta da diverse pagine e ci si avvia verso l’ultima parte del romanzo, quindi spesso si è costretti ad affidarsi alla rappresentazione che gli altri personaggi offrono di lei. Addie si presenta fin da subito come una donna interessante e anticonvenzionale, infatti apprendiamo dalla rigida dottrina di Cora Tull che non è usuale la sepoltura di una moglie lontana dal marito e, inoltre, come in vita Addie fosse stata una persona volitiva, intelligente e orgogliosa. Ma è solo una descrizione sommaria, condizionata dalla natura religiosa di Cora, poiché, direttamente dalle parole della Bundren, che aprono al lettore il passato della donna, si rivela ai nostri occhi una personalità estremamente più complessa. Odiata dal padre, verso il quale ricambia l’odio, Addie sviluppa fin da giovane un carattere cupo, solitario e votato alla disillusione, la cui naturale conseguenza è l’incapacità di raggiungere la serenità e di concepire sentimenti positivi, Addie percepisce l’amore coniugale e la maternità come concetti vuoti, utili soltanto a riempire gli spazi vacanti nella vita delle persone, e in seguito, con la nascita inaspettata di Darl, sentendosi ingannata dalle “words” stesse, più che da Anse, medita vendetta attraverso la volontà di essere sepolta a Jefferson, insieme a quella famiglia che aveva sempre odiato. Solo il concepimento di Jewel, probabilmente a causa della passione scaturita da quegli incontri extraconiugali con il predicatore Whitfield, sembra rappresentare l’unico momento vissuto ienamente da Addie, poiché è in Jewel che lei afferma di aver riversato tutto il suo sangue selvaggio, potendo così, da ora, prepararsi a morire. Non a caso, Addie resta indifferente alla nascita di Dewey Dell e Vardaman, considerati come figli del solo Anse (fra i quali pone anche Darl), ma mostra una certa predilezione per Cash, al quale chiede di costruire la bara in cui riposerà per sempre, e per Jewel, il cui apprezzamento verrà ripagato soltanto una volta morta. Uno dei tratti più interessanti della figura di Addie sta in come, anche da defunta, riesca a mantenere un ruolo vivido e concreto nella narrazione, gravando sulla serenità della famiglia e concentrando su di sé tutte le attenzioni, in linea con il suo segreto desiderio di essere considerata da qualcuno. Lo stesso Faulkner si rifiuta di separare nettamente il claustrofobico spazio della bara in cui giace Addie dal mondo circostante, infatti scrive di come Vardaman crei dei fori sulla cassa per far respirare la madre morta. Sarà da quei fori che emergerà il fetore, notato dai passanti, del cadavere in putrefazione e sarà sempre da quei fori che Darl e Vardaman sentiranno i suoni della decomposizione biologica, scambiati per la voce di Addie. A seguito di questa rapida presentazione del personaggio, se si volesse ricercare l’archetipo shakespeariano che sta alla base della figura di Addie, difficilmente riusciremmo a trovare un modello più calzante dell’intrigante Lady Macbeth. Faulkner, d’altronde, non ha mai nascosto la sua passione per Macbeth: già in The Sound and The Fury l’autore americano aveva attinto a piene mani da questa tragedia per delineare alcuni suoi personaggi e per intitolare il romanzo; inoltre, molti critici sono concordi nel riconoscere la lettura di Macbeth determinante per la maturazione della scrittura faulkneriana, a partire dalla sensazione angosciante che l’esistenza umana sia costellata da vani atti insignificanti che puntano al raggiungimento di obiettivi senza alcun reale valore. Lady Macbeth è la moglie del protagonista del dramma, ma lo spettatore fa fatica a riconoscerla solo come un personaggio utile a determinare la posizione sociale di Macbeth, dal momento che la forza, la spietatezza e l’ambizione della donna finiscono presto per renderla il vero fulcro del “play”, creando così un immediato parallelismo con la posizione di Addie nella narrazione di As I Lay Dying. Infatti, Lady Macbeth compare per la prima volta sul finire del primo atto mentre progetta l’assassinio di Duncan, re di Scozia, al fine di incoronare il marito, il quale è destinato a diventare nuovo monarca secondo la predizione di tre streghe, ma è incapace di macchiarsi di un così efferato crimine per via della propria morale. Si comprende subito, quindi, come sarà Lady Macbeth a tirare i fili della narrazione, esattamente come sarà Addie, per mezzo della promessa strappata al marito di essere sepolta a Jefferson, a imbastire la vicenda. Si è quindi davanti a due personaggi molto moderni poiché stravolgono la tradizionale rappresentazione della donna. Sia Lady Macbeth che Addie, infatti, sembrano percepire il loro sesso come una condanna, poiché, per il personaggio di Shakespeare, la violenza e l’ambizione sono caratteristiche proprie del mondo maschile, mentre Addie, incapace di percepire l’amore se non come un concetto vacuo, reagisce negativamente alla condizione di madre. Da notare, in aggiunta, come il rifiuto della maternità sia una caratteristica comune anche alla figlia di Addie, Dewey Dell, probabilmente mutuata dalla stessa Lady Macbeth. La modernità delle due donne è particolarmente evidente, poi, nella misura in cui non accettano passivamente la loro condizione ma vi si ribellano attraverso l’arte della manipolazione: alla nascita di Darl, Addie afferma che si vendicherà in maniera subdola e convince Anse ad accettare la promessa di essere sepolta a Jefferson; quando Macbeth sembra mostrarsi pavido nell’attuare l’omicidio di Duncan, la moglie riesce a persuaderlo a commettere il crimine. C’è però una sostanziale differenza tra Lady Macbeth e Addie, differenza che si palesa soltanto giunti alla fine del dramma. Quando la nobildonna non riesce più a sopportare il peso dei delitti che ha spinto il marito a perpetrare, inizia a impazzire, tormentata com’è da visioni, incubi e sonnambulismo, per poi, infine, presumibilmente suicidarsi; le violenze di Lady Macbeth, quindi, sono tutte confinate all’interno dello spazio della sua esistenza terrena. Per Addie non è così, dal momento che la propria vendetta può compiersi solo una volta terminata la sua vita, solo una volta a riposo nella bara di Cash, il quale si spezzerà una gamba pur di salvarla. In Addie non c’è tormento per quello a cui andranno incontro i parenti per aver accettato di esaudire la sua volontà (anche il senso di colpa, d’altronde, non sarebbe altro che una “word”) e, ancor più importante, il viso di Addie, anche in fin di vita, resta segnato dall’orgoglio: “But the eternal and the everlasting salvation and grace is not upon her”[1].

Faulkner, d’altronde, non ha mai nascosto la sua passione per Macbeth: già in ‘The Sound and The Fury‘ l’autore americano aveva attinto a piene mani da questa tragedia per delineare alcuni suoi personaggi e per intitolare il romanzo

5. Un destino amaro

Questo intervento, che aspira meramente a rilevare le corrispondenze tra alcuni archetipi shakespeariani e i personaggi faulkneriani di Darl, Jewel e Addie, è ovviamente una riduzione di quello che invece meriterebbe uno spazio ben più ampio. A causa della preferenza che Faulkner ha da sempre accordato al “corpus” shakespeariano, infatti, la critica si è incessantemente spesa nello stilare rilevanti saggi che potessero rintracciare il grado di influenza che Shakespeare ha esercitato sull’autore americano, mancando però di interessarsi a una riflessione sistematica su As I Lay Dying. Non è certamente un’assenza irrilevante, dato l’enorme valore letterario di quest’opera, ma è indice di quell’impulso classificatorio che da sempre condiziona il mondo della critica letteraria e a causa del quale è possibile apprezzare profondamente un testo solamente a distanza di decenni dalla sua pubblicazione. Nel contesto di un universo letterario in costante trasformazione, infatti, si tende troppo frequentemente a sottovalutare la portata intellettuale di specifici fenomeni, finendo così per chiudersi in un bieco conservatorismo in grado unicamente di valutare un’opera sulla base di un precedente maggiore. Schiacciato da Sartoris e The Sound and the Fury, così, si è dovuto attendere anni prima di riconoscere il peso specifico di As I Lay Dying nella produzione faulkneriana, condizionando inevitabilmente l’avvento di studi critici accurati e rigorosi. Un destino ingiustamente amaro per uno dei più grandiosi romanzi della letteratura americana.

Immagine: Spring Blossoms, Montclair, New Jersey, ca. 1891 / George Inness (MET collection OA)


[1] W. Faulkner, As I Lay Dying, Vintage Books, London, 2004, p. 5.


Yuri Sassetti nasce il 15 gennaio 1995 a Siena. Una volta conseguito il titolo di laurea triennale in Studi letterari e filosofici all’Università degli Studi di Siena, discutendo una tesi sulle figurazioni del vampiro nella letteratura gotica inglese, prosegue la sua formazione iscrivendosi a Lettere moderne, periodo in cui si concentra principalmente sullo studio delle letterature anglofone e francofone. Nel 2021 discute una tesi sui fenomeni socioculturali di schiavismo e razzismo in alcuni classici inglesi e statunitensi e, successivamente, si iscrive al Master di II livello Traduzione letteraria ed editing di Siena. Attualmente collabora con alcuni blog letterari, fra i quali figurano “Quaderni Contemporanei” e “Ex Libris 20”. Ama suonare, adora il cinema impegnato e diffida di coloro che non cambiano mai idea.