Carte da vedere

Milano dal treno (in tarda primavera)


Per gli altri articoli di Niccolò

Milano la vivo come un panorama sfuggente e opaco che si spande dal finestrino all’alba o al crepuscolo, alla fine di ogni felicità o all’inizio di ogni malinconia.
Milano la vivo come vivo C., come un sogno che a volte non so sognare come vorrei, come un treno che a volte non so se prendere o lasciare andare.
Milano la vivo nell’assenza nel ricordo nella distanza nelle giornate passate altrove nella nostalgia di ciò che è e di ciò che sarà.
Milano la vivo nel contatto rapido di una mano di due spalle che si sfiorano nelle passeggiate primaverili mentre il sole declina lento e le ombre tagliano in due i palazzi a lato della strada.
Milano la vivo come un’attesa sotto un portone appoggiato al muro di un palazzo nobiliare, guardare le persone che passano e poi l’orologio e un tram che arriva al capolinea e non c’è più tempo per riflettere, un saluto impacciato un pensiero improvviso una parola, una serie di parole rimaste lì a lievitare per settimane e la sera che ci attende premurosa.
Milano la vivo come un pomeriggio di sabato sdraiato sul prato di parco Sempione, lei stesa a terra con la testa poggiata sulle mie gambe, le dita che si intrecciano per un attimo per un ghirigoro di tempo.
Milano la vivo come una mattina di sabato seduto su una panchina di parco Sempione con gli occhi arrossati nascosti dalle lenti scure una sigaretta dopo l’altra.
Milano la vivo in una lunga camminata sotto la pioggia radente ai muri, attraversare la città perpendicolarmente mentre le nubi si diradano sino a scomparire, piove con il sole e gli uomini smettono di correre, poi torna il vento.
Milano la vivo come una frase scritta e poi subito cancellata su un grande libro nero rilegato, come una bicicletta rimasta chiusa nello scantinato, come una deviazione costante della fantasia, un richiamo incagliato nel soffitto, lo spettro di un corpo nudo che si muove tra le lenzuola e si avvicina e mi accoglie in sé.
Milano la vivo come un crocevia dell’indecisione e dell’impotenza, come il timore di non trovarmi più, di non sapere cosa cercare ancora, di essere stato transitorio.

Milano è per me una conoscenza inaspettata, dolorosa e schizofrenica, camere d’hotel mute e spartane che affacciano sul cortile interno e luminosi e arieggiati appartamenti, un paio di Manhattan al bancone di Gerri mentre il barman ascolta con un sorriso bonario, scrutando nello sguardo ingrigito il motivo per cui siedo lì solo di venerdì pomeriggio.
Milano è per me un gelato in via Albertini, un pranzo in via Ciovasso, in via Giorgio Jan angolo via Francesco Redi, in via Friuli, un caffè preso in via Spallanzani, una pizza a domicilio e un film di Verdone, Castello Sforzesco attraversato di fretta.
Milano la vivo come un desiderio rotto, l’unico che ho la voglia di desiderare ancora, come un senso di colpa titanico, come la proiezione ingenua e inadeguata di un domani irreale, come il riflesso di tutte le incertezze esplose in una voce che sfuma in una chiamata che si chiude in un messaggio che non arriva in due occhi rimasti indifferenti.

Milano la vivo come un marciapiede affollato e una destinazione ben precisa da raggiungere, come una canzone di Battisti, come un limbo, come una lingua sgrammaticata e indebolita e incapace di farsi suono, come un dissidio insanabile tra volontà e azione, tra aspettativa e realtà, come un romanzo che non scriverò mai, come un racconto in rivista letto nel giardino sul retro di una libreria indipendente, come un trasloco che forse in autunno, come una lista di cose che non ho il coraggio di fare, come una mappa di luoghi che non ho la forza di visitare.
Milano la vivo nella frenesia, nella rassegnazione, nelle domande che non avrei dovuto porre, nei taxi, nelle sedute dalla psicologa, in qualche altro posto d’Italia, Siena, Roma, Bologna, Pescara.
Milano la vivo come un impostore, come uno che è finito da un’altra parte, tagliato fuori e condannato alla stasi, che si addentra nel labirinto senza avere il permesso.
Milano la vivo come una sosta sotto il porticato della Rotonda della Besana, i piedi stanchi e nelle orecchie ‘Round Midnight.
Milano la vivo come un esercizio di solitudine, come uno spazio inviolabile, come un silenzio prolungato, come una persona che si ritrae scuotendo il viso, come un sorriso che svanisce nell’attimo stesso in cui è sorto, come una richiesta di comprensione che non riesco a onorare fino in fondo, come un moto irrefrenabile, come una teoria astratta dall’assioma sfalsato, come un’eterogenesi dei fini, come una spesa all’Esselunga.
Perdere tutti i treni, scrivere queste parole.


Niccolò Amelii è nato nel Novembre del 1995 ad Atri (TE). Dopo aver conseguito il titolo di laurea triennale in Studi letterari e filosofici all’Università di Siena, si è laureato nel 2020 in Editoria e scrittura all’Università La Sapienza. Attualmente è dottore di ricerca in Lingue, Letterature e Culture in Contatto presso l’Università degli Studi di Chieti-Pescara. Collabora con “Flanerí”, “La Balena Bianca” e “Limina”, ha pubblicato articoli saggistici e racconti su diverse riviste e blog, tra cui “Diacritica”, “Nazione Indiana”, “Altri Animali”, “The Vision”, “Kobo”, “Clean”, “Poetarum Silva”, “Pastrengo”, “Antinomie”, “Micorrize”, “Efemera”, “Suite Italiana”, “Sulla quarta corda”, “Grado Zero”, “Scenari”, “Dude Mag”, “Grande Kalma”.