Letteratura Sociologia

Letture di redazione

Cosa abbiamo letto a Giugno in redazione


Le Braci
Sàndor Màrai
Adelphi, 2008
trad. it. Marinella D’Alessandro

Come spesso accade ai capolavori, anche Le Braci (1942) non ottenne il successo di pubblico sperato alla sua pubblicazione, condizionato da infelici pareri che tacciavano il romanzo di sbandierare uno stile eccessivamente denso di dettagli ed elucubrazioni inconsistenti, quindi inabili ad accrescere concretamente l’essenza narrativa. Soltanto durante gli anni Novanta l’opera riuscì a diffondersi ampiamente, complice anche la prematura scomparsa del suo autore. Ad un occhio attento, il romanzo risente fortemente del clima letterario e intellettuale del tempo, oscillante tra gli ormai solidi stimoli modernisti e realisti e gli interrogativi morali ed esistenziali generati dal truce periodo bellico. La nefasta storia di Henrik e Konrad, i due anziani protagonisti uniti e divisi dalla spettrale figura di Krisztina, infatti, sviscera il sentimento più fragile, sebbene più profondo, di cui possono fregiarsi gli esseri umani: l’amicizia. Con vette di lirismo difficilmente equiparabili, con un ossessivo e maniacale riguardo nei confronti del fluire del tempo e con un rembrandtiano utilizzo delle tonalità scure, così, Màrai condisce la sua narrazione degli elementi più archetipici dell’esistenza, rintracciando le cause prime di un crollo profeticamente annunciato, ma comunque incapace di compiersi senza un ultimo, disperato, istrionico e angosciante incontro finale.


Class
Francesco Pacifico
Mondadori, 2021

Ripubblicato nel maggio di quest’anno (la prima edizione risale al 2014), Class è un romanzo vibrante (mi si passi il termine), che sviscera e poi inchioda, con un linguaggio studiatamente ipercontemporaneo e abilmente mimetico al racconto snocciolato – mescola senza soluzione di continuità lo slang della cricca hipster italiana di stanza a New York col gergo della Roma bene inizio XXI secolo col lessico hip hop o almeno quel che ne rimane – le velleità artistico-sentimentali di una generazione post-borghese (e post-ideologica), quella dei trentenni-quarantenni, che, sostenuta alle spalle dai saldi e ben radicati patrimoni di famiglia, si getta nel vasto mondo delle metropoli (qui sono New York e Roma a stare al centro della storia, ma stesso discorso potrebbe essere declinato a Berlino, Parigi, Londra ecc..) per inseguire fatue illusioni di successo e realizzazione professionale, brame di pseudo-indipendenza e di ambizione artistica, sogni improduttivi di fama e copertine di riviste, all’interno di un microcosmo ovattato e a tratti macchiettistico in cui nulla è più importante che essere giusti al posto giusto, essere in un progetto o essere il progetto di qualcuno, avere i contatti (o le raccomandazioni) o essere contattati (ma senza scherzi), essere amici di chi ha soldi e influenza o avere soldi ed essere influenti. Ne vien fuori un romanzo corale, in cui la voce narrante si alterna assiduamente in un vorticoso e schizofrenico passaggio di testimone, capace di illuminare le intercapedini meno evidenti di un panorama umano composto da persone bloccate a metà, giovani adulti che non sanno davvero cosa vogliono o non vogliono, che faticano a guardare in faccia l’inattuabile irrealtà delle loro aspirazioni primarie, incapaci di legarsi, di trovare un equilibrio sano nella propria esistenza e godersi davvero il piacere di fare le cose. Soffocati da invidie, ripicche, gelosie, frustrazioni, complessi insuperati, rapporti famigliari deteriorati, relazioni tossiche, esaurimenti nervosi, apatie emotive, ansie costanti, i personaggi di Class non perdono oggi la loro carica di verità, il loro senso d’essere dentro e fuori dal testo, perché le loro vicende contingenti rimangono paradigmatiche di un certo modo di stare al mondo (o meglio, sulla superficie del mondo), di una certa visione del reale (e dei suoi valori decaduti) e dei rapporti umani che vi si innescano, di una certa insofferenza nei confronti di un presente che sembra offrire tanto e invece concede poco e a prezzi molti alti. Chi vorrebbe essere o sapersi sempre altrove, chi ama con paura, chi desidera una vita che è forse solo proiezione sublimata del proprio sé, impossibile da far aderire alla realtà fenomenologica dell’esistenza quotidiana, chi è sempre insoddisfatto, in fuga da sé stesso e dagli altri, dal timore del fallimento, animato dai rimorsi e dai rimpianti per un futuro incontrollabile. In Class emergono così le contraddizioni centrali di una generazione che si riverberano di conseguenza anche sulla formazione e sullo sviluppo di quelle successive, nate negli anni Novanta, che non possono allora non rintracciare, pur con le dovute differenze, nei moti che animano i protagonisti del romanzo analogie e affinità con le proprie giovani esperienze di vita, già segnate da continui bivi e scelte annose. Emerge perciò in lontananza, nel processo di involontaria empatia che la riflessione successiva alla lettura suscita, un fondo d’amarezza quasi piacevole, sfuggente, e non potrebbe essere altrimenti per un romanzo che parla in fondo di identità scisse, mancanti e irrisolte e lo fa con una voce sincera e a noi molto vicina.


Lavorare con l’intelligenza emotiva
Daniel Goleman
Rizzoli, 2000
trad. it. Isabella Blum

In questo lungo saggio, che fa séguito all’opera capitale di Goleman – “Intelligenza emotiva” (Emotional intelligence, 1995) -, lo psicologo, scrittore e professore ad Harvard declina le sue teorie innovative in àmbito lavorativo, con l’intento di chiarificare e correggere le interpretazioni vaghe o troppo personali delle sue idee espresse nella precedente pubblicazione. Con un approccio analitico e attraverso una divisione settoriale che ne permette una fruizione non necessariamente sequenziale, l’opera punta a scardinare una volta per tutte quelle concezioni del lavoro retrograde e legate al primo capitalismo, dove il soggetto diventa oggetto e dove la capacità creativa è subordinata ai numeri e ai titoli. L’intelligenza emotiva è un macro-contenitore che racchiude tutte quelle doti, tensioni, propensioni al meccanismo dell’empatia, tutto ciò che permette di tradurre la teoria in atto pratico attraverso un sistema interpretativo che si discosta dalla semplice attuazione meccanica di quello che si legge nei manuali universitari. Immedesimazione nell’altro, attitudine al lavoro di gruppo, fantasia funzionale, capacità di approcciare e risolvere problemi, sono tutte qualità imperative oggigiorno (in percentuale, si calcola che siano artefici, assieme all’esperienza maturata sul campo, di circa il 90% del successo in àmbito lavorativo, dove il restante 10% è da attribuirsi alla formazione scolastica). Queste idee, abbracciate da gran parte dei settori industriali, hanno fatto sì che il suo autore sia oggi considerato un guru, e i suoi libri imprescindibili: come sempre, all’atto pratico, la differenza tra parola e azione resta tuttora lo spazio da colmare.

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