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1. Una questione di interferenze
Considerando lo sviluppo estetico della letteratura secondo una prospettiva auerbachiana, risulta immediato come alla costituzione del genere romanzo si accompagni una riflessione sul rapporto tra immaginario e mondo tangibile che, soprattutto nel corso dell’Ottocento francese, si è presto declinata in un dibattito sul valore artistico del realismo letterario e sul nuovo ruolo storico-culturale della borghesia. Il romanzo francese originato da questo clima intellettuale è il genere che “rappresenta meglio” – si parla pur sempre di finzione – il rapporto dell’uomo col mondo circostante, dal momento che, avvalendosi di uno stile misto in grado di trattare in maniera seria di personaggi umili, vede nella realtà il luogo dell’azione umana e nella dimensione sociale la condizione principale della vita individuale. Benché affascinanti e interessanti a livello critico, non ci si porrà l’obiettivo di rintracciare gli elementi di aderenza al modello auberbachiano nel realismo francese ottocentesco – a dire il vero, fin troppo discussi –, bensì le tracce di discontinuità rispetto a tale estetica, quest’ultime causate dalle tendenze letterarie con cui molti di questi autori si erano trovati a convivere o avevano conosciute nel corso della loro formazione. D’altronde, incoraggiato dai sentimenti rivoluzionari e nazionalistici di fine Settecento, all’inizio del XIX secolo in Francia si era diffusa la corrente romantica, alimentata da Chateaubriand e dal “Cénacle”, ma contemporaneamente Stendhal proponeva i primi esempi di realismo in letteratura. In seguito, nonostante la cosiddetta “École du désenchantement” avesse segnato un punto di svolta decisivo nell’indebolimento della spinta mistica all’interno del Romanticismo (mentre cresceva l’interesse nei grandi centri culturali francesi per il positivismo comtiano), si rilevano ancora elementi idealisti in gran parte della Comédie humaine. Non sembra perciò così assurdo notare come, nonostante la volontà di prendere una direzione spiccatamente anti-romantica di certi scrittori del secondo Ottocento, il romanzesco riesca a ritagliarsi degli spazi di esistenza e sopravvivenza proprio in quelle opere che verranno considerate modelli di riferimento stilistico e tematico del realismo in letteratura dalla critica successiva. Quel che è meno immediato, e infatti costituisce l’argomento di questo scritto, è che un considerevole numero di elementi idealisti emerge marcatamente nelle scene notturne dei romanzi realisti, come a voler enfatizzare l’idealismo nel momento della giornata in cui è più lecito e verosimile farlo, poiché luogo letterario dell’onirismo e dell’incerto.
2. Lamartine in Flaubert
L’analisi di Madame Bovary fa subito emergere un particolare interessante: gran parte delle scene si svolgono durante le ore di luce. Questo elemento non limita l’indole “romanesque” di Emma, tutt’altro, ma è necessario all’autore per accentuarla nelle scene notturne con stratagemmi stilistici che rivelano la lezione di Chateaubriand e di Balzac, nonché di quella Tentation de Saint Antoine che Flaubert avrebbe pubblicato prima di Madame Bovary, se non fosse stato condizionato dal dissenso di Du Camp e Bouilhet. Si pensi all’incontro notturno sotto il pergolato di casa Bovary a Yonville tra Emma e Rodolphe. L’uomo attende sotto casa ma la giovane per uscire deve aspettare che Charles si addormenti, così Flaubert mima l’impazienza della ragazza spezzando il ritmo del discorso: “elle se dévorait d’impatience. Si se yeux l’avaient pu, ils l’eussent fait sauter par les fenêtres” [1]. L’autore ritarda ancora l’incontro: fa vestire Emma per la notte, le fa leggere un libro “fort tranquillement” [2] come a voler sottolineare il contrasto tra la placida atmosfera notturna e l’estasi emotiva della ragazza e la fa chiamare da Charles in camera da letto. Poi, di colpo, giunge lo scioglimento dell’attesa e il ritmo della frase diventa frenetico attraverso una concatenazione ossessiva di aggettivi: “elle s’échappait en retenant son haleine, souriante, palpitante, déshabillée” [3]. Una volta uscita, Emma si fa coprire completamente dall’immenso mantello di Rodolphe e i due si dirigono verso il pergolato per poi sedersi sulla stessa panchina in cui Léon aveva corteggiato la signora Bovary qualche tempo prima. Se già questa fuga notturna presenta alcuni tra i caratteri stilistici e tematici più ricorrenti del modo romanzesco [4] (suspense, ritmo della sintassi incalzante, gusto per l’esagerazione e tema dell’amore adulterino), la descrizione all’imperfetto del paesaggio circostante completa il quadro attraverso una buona dose di elementi lamartiniani:
Les étoiles brillaient à travers les branches du jasmin sans feuilles. Ils entendaient derrière eux la rivière qui coulait, et, de temps à autre, sur la berge, le claquement des roseaux secs. Des massifs d’ombre, çà et là, se bombaient dans l’obscurité, et parfois, frissonnant tous d’un seul mouvement, ils se dressaient et se penchaient comme d’immenses vagues noires qui se fussent avancées pour les recouvrir. Le froid de la nuit les faisait s’étreindre davantage; les soupirs de leurs lèvres leur semblaient plus forts. Leurs yeux, qu’ils entrevoyaient à peine, leur paraissaient plus grands, et, au milieu du silence, il y avait des paroles dites tout bas qui tombaient sur leur âme avec une sonorité cristalline et qui s’y répercutaient en vibrations multipliées. [5]
Se non si dimentica che la strategia narrativa della ripetizione è alle fondamenta dell’organizzazione strutturale di Madame Bovary, non stupirà ritrovare nuovamente il tanto criticato Lamartine in un’altra scena notturna, posta all’interno dei tre giorni che Emma e Léon passano a Rouen alloggiando in un albergo vicino al porto. Nell’occasione del ritorno da una cena in trattoria su un’isoletta, infatti, Flaubert non disdegna il recupero delle stesse sonorità romantiche citate in precedenza:
À la nuit, ils repartaient. La barque suivait le bord des îles. Ils restaient au fond, tous les deux cachés par l’ombre, sans parler. Les avirons carrés sonnaient entre les tolets de fer; et cela marquait dans le silence comme un battement de métronome, tandis qu’à l’arrière la bauce qui traînait ne discontinuait pas son petit clapotement doux dans l’eau. Une fois, la lune parut; alors ils ne manquèrent pas à faire des phrases, trouvant l’astre mélancolique et plein de poésie; même elle se mit à chanter: “Un soir, t’en souvient-il? nous voguions…”. Sa voix harmonieuse et faible se perdait sur les flots; et le vent emportait les roulades que Léon écoutait passer, comme des battements d’ailes, autour de lui. [6]
Si noti ancora l’uso dell’imperfetto, ma soprattutto l’esplicita citazione a Le Lac del Lamartine delle Méditations Poétiques, elemento che funziona da chiave d’accesso per il lettore all’universo tematico romanzesco a cui Flaubert fa più volte riferimento nei contesti notturni del testo e che inoltre fornisce all’autore anche il retroterra lessicale da cui attingere per la descrizione del paesaggio (nuit, flots, harmonieuse, astre, per fare qualche esempio di corrispondenza lemmatica [7]). Flaubert ha però in mente un disegno preciso della sua opera, tutto intessuto di richiami e iterazioni, così fa risuonare il nome storpiato di Rodolphe per mezzo della bocca del barcaiolo (“Allons, conte-nous quelque chose…, Adolphe…, Dodolphe…, je crois” [8]) e, esattamente come accade a Emma, anche il lettore viene colto dal brivido di chi comprende di star vivendo un déjà-vu. Flaubert ha infatti optato per le medesime scelte formali dell’incontro notturno tra la giovane e il suo primo amante sotto il pergolato a Yonville, concedendosi così nuovamente una pausa “romanesque” da quella tensione realista che ha dovuto odiare per scrivere il romanzo [9].
3. Il lirismo di Maupassant
Benché Une Vie abbia dovuto scontare l’austero giudizio di Flaubert, la critica si è sempre divisa sul grado d’influenza che Madame Bovary e il suo autore possano aver avuto sullo stile e sul contenuto del romanzo d’esordio di Maupassant. Sicuramente le intenzioni di scrittura dei due artisti si contrappongono, visto che in Maupassant, a differenza di Flaubert, “il tono caratteristico nasce da un uso sapiente dell’humour che risolve in leggerezza il disincanto dello sguardo, spietato nell’analisi dei rapporti umani, percepiti solo come manifestazioni di egoismo e crudeltà” [10]. Rispetto al romanzo analizzato in precedenza, Une Vie presenta un numero maggiore di ambientazioni notturne ma non per questo necessariamente indicatrici di una maggiore inclinazione al romanzesco. Questo deriva dal fatto che, secondo Maupassant, il romanziere realista deve cogliere i suoi personaggi in un dato periodo della loro esistenza e deve condurli, attraverso transizioni naturali, fino al periodo successivo, senza dover necessariamente escogitare un’avventura da sviluppare in maniera interessante fino all’epilogo. Ciononostante, si può apprezzare la presenza di alcuni caratteri tipici del modo romanzesco, necessari a tenere alta la curiosità del lettore per un testo pubblicato inizialmente in feuilleton, come nel caso della morte di Julien per mano del conte di Fourville. Soprattutto nei primi capitoli del romanzo, Jeanne viene delineata come un personaggio fortemente idealista, quindi la notte non può che esercitare un particolare fascino romantico su di lei. Si pensi alla passeggiata al chiaro di luna dei due innamorati che Maupassant presenta al lettore dopo il racconto del passato di zia Lise:
Un soir, vers la fin du mois, après une journée de lourde chaleur, la lune se leva dans une de ces nuits claires et tièdes, qui troublent, attendrissent, font s’exalter, semblent éveiller toutes les poésies secrètes de l’âme. Les souffles doux des champs entraient dans le salon tranquille [11].
L’incedere della frase, il repertorio lessicale romantico, l’antitesi tra la pesantezza del giorno e la leggerezza della notte e la presenza di climax sono tutti stilemi che richiamano una modalità “romanesque” della narrazione, ma risultano ancor più interessanti nella scrittura di Maupassant, influenzata com’è da quella riflessione sul rapporto tra io e mondo che si andava indagando nell’ultimo quarto dell’Ottocento a seguito dello studio dei testi tradotti di Schopenhauer. Infatti, non bisogna dimenticare come la scena in analisi venga proposta nei termini di un coinvolgimento emotivo di Jeanne per il paesaggio notturno (“Attirée invinciblement par le charme tendre de cette nuit, par cet éclairement vaporeux des arbres et des massifs, Jeanne se tourna vers ses parents: “Petit père, nous allons faire un tour là, sur l’herbe, devant le château.” [12]), in accordo alla dottrina schopenhaueriana secondo cui la personalità cosciente è costituita in realtà da pulsioni e istinti primari. Tutta la situazione, inoltre, sembra essere idealizzata dal contesto serale: i passi dei giovani sono lenti e discreti, il prato è luminoso a causa del riflesso lunare, le loro silenziose presenze si confondono alla “poésie visible qui s’exhalait de la terre” [13]. La medesima situazione di pace e gli stessi toni idealisti si riscontrano in una descrizione tanto rapida quanto incisiva che l’autore offre nel capitolo seguente, quello dedicato al viaggio di nozze in Corsica di Jeanne e Julien:
Le soir venait, un soir calme, radieux, plein de clarté, de paix heureuse. Pas un frisson dans l’air ou sur l’eau; et ce repos illimité de la mer et du ciel s’étendait aux âmes engourdies où pas un frisson non plus ne passait. [14]
Un icastico periodo all’imperfetto in cui impera il lirismo e in cui si accumulano in gradazione ascendente aggettivi appartenenti al campo semantico del divino, seguito da due proposizioni coordinate strutturate secondo una disposizione chiasmica (frisson, eau, mer, frisson), anch’esse all’imperfetto e fortemente liriche. Più che rilevare le corrispondenze tra questo brano e quello presentato in precedenza, però, sembra interessante far notare come tali vette di lirismo siano state raggiunte nella descrizione di una notte all’interno del capitolo più romanzesco dell’opera, come a voler rimarcare un ulteriore distacco tra le atmosfere diurne e quelle notturne addirittura in un generale regime d’idealismo ed esotismo.
4. Misticismo e percezione in Zola
Dei testi pubblicati da Zola nel ciclo Les Rougon-Macquart, Le Rêve è sicuramente il più atipico. Seguendo i principi del Naturalismo sulla rappresentazione del vero, ma al contempo mitigando l’eccessivo realismo delle sue opere a seguito della polemica verso la crudezza di La terre sollevata dai cinque scrittori firmatari del Manifeste des Cinq, l’autore propone un’opera dal taglio fortemente romanzesco, giacché narrata immedesimandosi in una giovane protagonista intimamente idealista. Rispetto alle opere citate in precedenza, Le Rêve è sicuramente quella in cui si possono contare il maggior numero di ambientazioni notturne, che, come si vedrà, si caratterizzano per una rilevante quantità di stilemi e temi tipicamente romanzeschi. Infatti, benché Zola avesse costruito la sua poetica sugli scritti di Darwin e Taine, portando così la critica a indicare nel determinismo naturale, per il quale l’individuo è il risultato ultimo di un’ereditarietà fisiologica che ne determina la radice umana e sociale, il primum movens di ogni suo romanzo, in Le Rêve vi si affianca un’interessante tensione verso i limiti dell’idealismo e dell’identificazione letteraria. Si prenda la situazione proposta dall’autore nella notte in cui Félicien appare per la prima volta ad Angélique, poco dopo l’emblematica riflessione della giovane sulla natura dei miracoli (“La Légende le lui avait enseigné: n’est-ce pas le miracle qui est la règle commune, le train ordinaire des choses ?” [15]). Tutta la preparazione alla comparsa di Félicien è, infatti, data dallo scandire delle notti e della romanzesca sensazione che qualcosa di miracoloso stia per presentarsi agli occhi della giovane, fortemente condizionata dall’idealismo delle agiografie contenute nella Légende Dorée: “Une nuit de mai, à ce balcon où elle passait de si longues heures, elle éclata en larmes. Elle n’avait point de tristesse, elle était bouleversée par une attente, bien que personne ne dût venir” [16]. Zola per alcune pagine, come si era già notato in Flaubert, crea suspense ritardando l’apparizione di Félicien, ma allo stesso tempo si avvale di un vasto repertorio di immagini tipicamente “romanesque”, proposte al lettore secondo un preciso ordine percettivo e incasellate in incisivi periodi all’imperfetto: “C’est la création par la jeun fille de l’etre attendu, qui sort du néant, de l’ombre, de l’inconnu, pièce à pièce, à l’aide des sens” [17]. Infine, Félicien fa la sua manifestazione:
La lune, en son plein, éclairait le Clos-Marie. Quand elle était au zénith, les arbres, sous la lumière blanche qui tombait d’aplomb, n’avaient plus d’ombre, pareils à des fontaines ruisselantes de muettes clartés. Tout le champ s’en trouvait baigné, une onde lumineuse l’emplissait, d’une limpidité de cristal; et l’éclat en était si pénétrant, qu’on y distinguait jusqu’à la découpure fine des feuilles de saule. Le moindre frisson de l’air semblait rider ce lac de rayons, endormi dans sa paix souveraine, entre les grands ormes des jardins voisins et la croupe géante de la cathédrale. Deux soirées s’étaient passées encore, lorsque, la troisième nuit, en venant s’accouder, Angélique reçut au cœur un choc violent. Là, dans la clarté vive, elle l’aperçut debout, tourné vers elle. Son ombre, ainsi que celle des arbres, s’était repliée sous ses pieds, avait disparu. Il n’y avait plus que lui, très clair. À cette distance, elle le voyait comme en plein jour, âgé de vingt ans, blond, grand et mince. [18]
Si apre così uno scenario già noto: si riscontrano corrispondenze lessicali con le ambientazioni notturne di Madame Bovary e Une Vie, si apprezza la reiterata scelta dell’imperfetto con funzione onirica e si nota come il ritmo della frase vada a frammentarsi in maniera rilevante in corrispondenza dell’apparizione del giovane. È evidente come Zola stia attingendo al repertorio del modo romanzesco, ma è interessante sottolineare l’insistenza sul colore bianco, nonché sul valore simbolico e religioso di questo, perché l’autore tiene a dissociarlo – all’interno del contesto notturno – dalla mera luce lunare. Si pensi poi al momento in cui, in un eccessivo slancio di carità, Angélique dona le sue scarpe e le proprie calze a Tiennette davanti a un incredulo Félicien che, mettendola in imbarazzo, la porta a fuggire:
Puis, elle s’alarma, perdit la tête, se mit à fuir. Dans l’herbe, ses petits pieds couraient, très blancs. La nuit s’était accrue encore, le Clos-Marie devenait un lac d’ombre, entre les grands arbres voisins et la masse noire de la cathédrale. Et il n’y avait, au ras des ténèbres du sol, que la fuite des petits pieds blancs, du blanc satiné des colombes. [19]
In questa scena notturna la luna sembra essere coperta dalle nuvole, ma il candore dei piedi di Angélique, associati a due colombe, è comunque in grado di offrire un cerchio di luce. Al di là degli elementi già ricorsi nelle analisi precedenti, qui va posta attenzione a due stratagemmi di cui si avvale Zola per rinforzare il romanzesco del passo, cioè il gusto per l’esagerazione (très blancs, s’était accrue encore, grands arbres…) e l’utilizzo della metafora che, oltre a conferire una buona dose di lirismo, abbinata al precedente, rievoca stilemi tipici della letteratura barocca europea.
5. Una diversa prospettiva
Appare evidente come, per quanto gli autori francesi realisti ottocenteschi ricerchino una scrittura capace di rappresentare in modo verosimile il “milieu” circostante, quindi tagliando fuori ogni elemento idealista che potrebbe corrodere il velo di oggettività che cela la finzione letteraria, il romanzesco riesca comunque a trovare uno spazio d’esistenza particolarmente vivido nei contesti notturni, spesso rievocando gli stilemi di quella stessa tradizione romantica o lirica che tali scrittori avevano apprezzato o con cui avevano convissuto. Inoltre, evidenziando le scelte stilistiche e le tematiche comuni riscontrate nelle scene prelevate dai tre testi in analisi, si può affermare come esista un repertorio condiviso nella narrazione di scene ambientate di notte, come questo coincida con l’immaginario del modo romanzesco e come sia favorito dall’attitudine idealista dei protagonisti letterari. Ancora una volta, quindi, emerge la profonda ingiustizia che si fa alla letteratura quando la si costringe all’interno di rigidi schemi manualistici, giacché la natura diversificata e prismatica della pagina scritta non è fatta per essere indagata attraverso questo tipo di approccio. Le lettere, d’altronde, chiedono flessibilità, pensiero critico e rispetto nei confronti del loro valore sociale, pertanto provano ritrosia nei confronti delle facili convenzioni e delle categorie paralizzanti tanto sbandierate nelle accademie. Soltanto accettando le sfumature, soltanto riconoscendo l’idealismo nel realismo, Lamartine in Flaubert, infatti, si potrà apprezzare la più pura essenza della letteratura.
Immagine: Trees and Houses Near the Jas de Bouffan, 1885–86 / Paul Cézanne (MET collection OA Public Domain)
[1] G. Flaubert, Madame Bovary, Gallimard, Paris, 2001, p. 226.
[2] Ibid.
[3] Ibid.
[4] Cfr. N. Frye, Anatomy of Criticism. Four Essays, University of Toronto Press, Toronto, 2006, pp. 31-32.
[5] G. Flaubert, Madame Bovary, cit., p. 227.
[6] Ivi, p. 373.
[7] Cfr. A. de Lamartine, Les Méditations Poétiques – Nouvelle Méditations Poétiques, a cura di M. F. Guyard, Gallimard, Paris, 1981, pp. 38-39.
[8] G. Flaubert, Madame Bovary, cit., p. 373.
[9] J. Neefs, La prose du réel, in Le Flaubert réel, a cura di B. Vinken e P. Frohlicher, Niemeyer, Tubingen, 2009, pp. 21-29.
[10] I. Merello, L’Ottocento, in Storia europea della letteratura francese, ed. L. Sozzi, Einaudi, Torino, 2013, II, p. 214.
[11] G. de Maupassant, Une Vie, Gallimard, Paris, 1999, p. 78.
[12] G. de Maupassant, Une Vie, cit., p. 78.
[13] Ivi, p. 79.
[14] Ivi, p. 106.
[15] É. Zola, Le Rêve, Tredition, Hamburg, 2012, p. 60.
[16] Ivi, p. 63.
[17] Émile Zola, Dossier préparatoire à «Le Rêve», ms., Paris, Bibliothèque Nationale de France, Départment des manuscrits, 10323, 1887, f. 65r.
[18] É. Zola, Le Rêve, cit., pp. 67-68.
[19] Ivi, p. 84.
Yuri Sassetti è nato il 15 gennaio 1995 a Siena. Una volta conseguito il titolo di laurea triennale in Studi letterari e filosofici all’Università degli Studi di Siena con una tesi sulle figurazioni del vampiro nella letteratura gotica inglese, decide di proseguire il percorso di formazione nella città dove è nato iscrivendosi a Lettere moderne ma specializzandosi nelle letterature straniere. Ama leggere e scrivere poesie, suona la chitarra in una band e trova interessante il cinema impegnato. Attualmente sta pensando alla raccolta e pubblicazione di una serie di saggi di critica letteraria.