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1. Gli spazi altri: utopie e eterotopie
Gli ambienti naturali sono dotati di determinate specificità geografiche, ma includono al loro interno anche un’ineludibile dimensione immaginativa. Nell’ambito della produzione letteraria inglese, gli spazi della natura – molto spesso riconducibili a modelli appartenenti al mito – sono in grado di ampliare il proprio ventaglio metaforico fino a configurarsi come emblemi dell’identità nazionale e delle metamorfosi sociali. In particolare, l’isola rappresenta l’ambiente naturale più incline a convogliare in sé tutti questi elementi, dal momento che, essendo lo stesso Regno Unito geograficamente una realtà insulare, ha la capacità di allargare il proprio spazio semantico dall’immediatezza dell’ente fisico alla complessità del paradigma culturale. Le isole della narrativa inglese, infatti, riflettono in maniera evidente gli schemi etnoantropologici dell’Inghilterra contemporanea, permettendo così di avanzare l’ipotesi secondo cui questa entità fisica sia intrinsecamente collegata alla cultura inglese e che quindi sia possibile indagarla ontologicamente attraverso l’applicazione di determinate categorie filosofiche. In questo quadro, considerando che l’isola è pur sempre un’entità spaziale (e quindi un “topos”), è lecito pensare che quelle della narrativa inglese – ancor più che in altre produzioni letterarie europee – possano essere ricondotte al concetto di eterotopia proposto da Michel Foucault nelle opere sul discorso scritte durante gli anni Sessanta.
Foucault chiama in causa per la prima volta le eterotopie all’interno di Les mots et les choses (1966) attraverso una relazione di contrasto con l’idea di utopia:
Les utopies consolent: c’est que, si elles n’ont pas de lieu réel, elles s’épanouissent pourtant dans un espace merveilleux et lisse; elles ouvrent des cités aux vastes avenues, des jardins bien plantés, des pays faciles, même si leur accès est chimérique. Les hétérotopies inquiètent, sans doute parce qu’elles minent secrètement le langage, parce qu’elles empêchent de nommer ceci et cela, parce qu’elles brisent les noms 2 communs ou les enchevêtrent, parce qu’elles ruinent d’avance la ‘syntaxe’, et pas seulement celle qui construit les phrases, – celle moins manifeste qui fait ‘tenir ensemble’ (à côté et en face les uns des autres) les mots et les choses. C’est pourquoi les utopies permettent les fables et les discours: elles sont dans le droit fil du langage, dans la dimension fondamentale de la fabula; les hétérotopies (comme on trouve si fréquemment chez Borges) dessèchent le propos, arrêtent les mots sur euxmêmes, contestent, dès sa racine, toute possibilité de grammaire; elles dénouent les mythes et frappent de stérilité le lyrisme des phrases. [1]
A quest’altezza temporale, la filosofia di Foucault è ancora abbastanza in divenire per raggiungere la comprensione di come sia possibile applicare l’eterotopia fuori dal discorso. Attraverso la lettura dei racconti di Borges – fonte primaria per la stesura di Les mots et les choses –, Foucault si interessò innanzitutto di un dilemma essenzialmente linguistico: riprodurre il “simultané” tramite gli strumenti del “suivant”, cioè raccordare l’immagine alla sua rappresentazione linguistica (“si bien qu’on ne peut penser un mot – aussi abstrait, général et vide qu’il soit – sans affirmer la possibilità de ce qu’il représente.” [2]). A sostegno di quanto detto, si pensi alla lunga descrizione dell’insolito quadro di Diego Velázquez Las meninas contenuta nel primo capitolo del saggio. Per adesso, però, prendiamo semplicemente atto di una interessante caratteristica delle eterotopie: a differenza delle utopie, che dichiaratamente non hanno luogo reale, le eterotopie sono entità reali. Questa considerazione pone le basi per articolare una possibile relazione tra l’isola e l’eterotopia.
Nel dicembre 1966, Foucault torna sul concetto di eterotopia durante due interventi radiofonici a France Culture sull’utopia in letteratura. In particolare, nel primo intervento il filosofo descrive il significato dell’eterotopia, ancora una volta per contrasto con l’utopia:
Il y a donc des pays sans lieu et des histoires sans chronologie; des cités, des planètes, des continents, des univers, dont il serait bien impossible de relever la trace sur aucune carte ni dans aucun ciel, tout simplement parce qu’ils n’appartiennent à aucun espace. Sans doute ces cités, ces continents, ces planètes sont-ils nés, comme on dit, dans la tête des hommes […] bref, c’est la douceur des utopies. Pourtant je crois qu’il y a – et ceci dans tout société – des utopies qui ont un lieu précis et reél, un lieu qu’on peut situer sur une carte; des utopies qui ont un temps déterminé, un temps qu’on peut fixer et mesurer selon le calendrier de tous le jour […] ce sont les hétérotopies. [3]
Le eterotopie, perciò, si configurano come spazi altri reali e, inoltre, come verrà detto più avanti da Foucault stesso in una conferenza del 1967, sembrano rispettare sei principi d’esistenza: esistono in ogni società attuale o del passato; subiscono il mutamento storico e geografico; sovrappongono al loro interno luoghi incompatibili; sono solidali con le eterocronie; sono costituite da un sistema di apertura e chiusura che le isola; dialogano con lo spazio esterno per mezzo dell’illusione. In sintesi, l’eterotopia è quel luogo reale, riscontrabile in ogni cultura di ogni tempo, strutturato come spazio definito e assolutamente differente da ogni altro spazio sociale, ma che lo rappresenta, contesta e rovescia. La funzione di questi spazi altri è quella di compensare gli spazi sociali da cui sono circondati. Foucault designa materialmente le eterotopie facendo alcuni esempi illuminanti: “il y a les jardins, les cimetières, il y a les asiles, il y a les maisons closes, il y a les prisons, il y a le cinéma, il y a les miroirs, il y a les villages du Club Méditerranée, et bien d’autres” [4]. Attraverso queste esemplificazioni è inoltre possibile comprendere anche alcuni principi, inizialmente poco chiari, legati all’esistenza di questi spazi altri: il cinema è un’eterotopia in quanto capace di far convivere dimensioni spaziali diverse attraverso la rappresentazione di un mondo tridimensionale sopra lo spazio bidimensionale della tela bianca; allo stesso modo, lo specchio è un’eterotopia perché ci permette di riflettere la nostra immagine dove non siamo, cioè all’interno di uno spazio virtuale che si apre sulla superficie di esso ma che è al contempo connesso alla stanza in cui è stato appeso. Queste considerazioni preliminari e necessarie portano a interrogarci sulla possibilità di interpretare determinati ambienti insulari della letteratura inglese attraverso la lente dell’eterotopia, giacché i principi esistenziali di tali luoghi sembrano corrispondere a quelli proposti da Foucault nei suoi interventi filosofici. Sarà utile, perciò, concordare fin da subito le due questioni alla base di tale ricerca: si possono identificare alcune isole della letteratura inglese come eterotopie? È lecito applicare i principi che legittimano l’esistenza degli “espaces autres” di Foucault almeno in determinati romanzi ambientati all’interno di isole? Lo studio verrà condotto su Robinson Crusoe (1719) di Daniel Defoe.
2. I gradi della somiglianza: l’isola di Robinson
In Robinson Crusoe si potrebbe parlare di una duplice eterotopia: se nella maggior parte del romanzo, infatti, a rappresentare l’archetipo dello spazio altro è l’isola, all’inizio del testo è la nave del protagonista a rivestire questo ruolo. Il vascello serve a Robinson per fuggire dalla quieta vita borghese verso un altrove che si rivelerà essere un luogo deserto e colonizzabile; in termini foucaultiani, si sperimenta un passaggio da uno spazio altro “subversif” a uno spazio altro “imitatif”. Ci sarà, poi, un momento in cui i due luoghi verranno a incrociarsi: superato il trauma del naufragio, Robinson compie una serie di viaggi dall’isola al relitto della nave per portare con sé oggetti utili alla sopravvivenza; in questo momento, il vascello diventa uno spazio di libertà di fronte allo spazio di prigionia che incarna l’isola. I due luoghi, però, si riveleranno complementari, tenuti insieme da quel motivo economico che si presenta come l’architettura fondamentale di tutto il romanzo, come sottolinea anche Paolo Lago:
La nave e l’isola appaiono sia come una via di fuga dal quieto mondo borghese della famiglia di Robinson, sia come strumenti utilizzati da quella stessa società inglese per arricchirsi e poter mantenere quello status sociale di benessere. L’avventura e il commercio, nel romanzo di Defoe, appaiono quindi come le facce di una stessa medaglia. [5]
In Robinson Crusoe, la nave e l’isola sembrano rappresentare, quindi, definite eterotopie, “espaces des contestation” – ma anche “réservoir d’imagination” – che si fondano sulla teoria rinascimentale dei gradi di somiglianza, di cui Foucault parla nel 1967 durante una tavola rotonda all’abbazia di Royaumont:
En fait, ce corpus de la ressemblance au XVI siècle était parfaitement organisé. Il y avait au moins cinq notions parfaitement définies. La notion de convenientia, qui est ajustement (par example, de l’âme au corps, ou de la série animale à la série végétale); la notion de sympatheia, qui est l’identité des accidents dans des substances distinctes); la notion de aemulatio, qui est le très curieux parallélisme des attributes dans des substances ou dans des êtres distincts, de telle sortes que les attributes sont comme le reflet les uns des autres dans une substance et dans l’autre; la notion de signatura, qui est, parmi les propriétés visibles d’un individu, l’image d’une propriété invisible et cachée; et puis, bien sûr, la notion de analogia, qui est l’identité des rapports entre deux ou plusieurs substances distinctes.
In particolare è possibile riconoscere in questa citazione il rapporto che intercorre tra l’isola di Robinson e la società borghese inglese a cui il giovane apparteneva in patria. Ciò che fa il naufrago, infatti, è semplicemente e paradossalmente ricostruire per somiglianza la stessa vita agiata che già aveva rinnegato in Inghilterra. Robinson, inizialmente, non conosce l’esatta posizione della sua isola però è certo della sua materialità e del fatto che sia regolata dallo stesso sistema temporale della sua terra d’origine, riuscendo così a tenere un calendario. In altre parole, l’isola è uno spazio definito ma si presenta totalmente differente da ogni altro spazio sociale conosciuto dal protagonista. Nonostante questo, Robinson trasforma gradualmente l’isola nella sua isola, modellandola per convenientia, sympatheia, aemulatio, signatura e analogia nell’unica società che è per lui accettabile, cioè quella protocapitalista dell’homo economicus. Così facendo, l’isola diventa una vera eterotopia poiché rappresenta – ma contesta e rovescia – lo spazio che la circonda, seppur per mezzo dell’illusione umana. L’eteretopia, d’altronde, riflette una condizione di dimidiazione in cui lo scarto dalla norma è assoggettato, assunto a ente in grado di preservare la rappresentazione della sovversione in uno spazio che è illusione di ogni spazio circostante, esattamente come accade nel romanzo di Defoe. La volontà civilizzatrice di Robinson, inoltre, volta a trasmutare il terreno incerto dell’ignoto nello spazio definito del quotidiano, fa sì che all’interno dell’isola si sovrappongano luoghi altrimenti incompatibili tra loro. È la primordiale divisione tra Natura e Cultura, tra dominio naturale e costrutto culturale, che nell’isola di Robinson inizia ad assumere dei contorni sfumati e incerti [7]. Infine, sarà la Cultura a trionfare nell’eterno conflitto e a decretare lo statuto di “espace autre” dell’isola, come si nota nell’emblematica scena della cena:
There was my majesty and prince and lord of the whole island; I had the lives of all my subjects at my absolute command; I could hang, draw, give liberty, and take it away, and no rebels among all my subjects. Then, to see how like a king I dined, too, all alone, attended by my servants. [8]
A tavola siede re Robinson, circondato dai suoi atipici servitori: il pappagallo Poll, un cane e due gatti. Ecco che, nell’eterotopia dell’isola immaginata da Defoe, la Natura si sottomette alla Cultura e lo spazio reale circostante – quello del regno inglese – è rappresentato e rovesciato. L’applicabilità dei principi di esistenza proposti da Foucault, infine, si riscontra positivamente sia nell’isola di Robinson sia nell’immagine della nave, decretando così un dominio degli spazi altri di estrema modernità rappresentativa. Tutto questo si fa concreto per mezzo dei diversi gradi di somiglianza, teoria che l’eterotopia adotta trasversalmente nei confronti degli spazi reali circostanti. Defoe, forse inconsapevolmente, riesce così a raggiungere uno stadio ancor più raffinato del concetto di eterotopia.
3. Correlazioni e alienazioni: il punto sull’eterotopia
È opinione comune pensare che dal 1967 fino a fine anni Ottanta Foucault abbia costruito la sua filosofia in un continuo contrasto tra spazio e storia, centralizzando il primo a discapito della seconda [9]. Anche soltanto attraverso la lettura di Les mots et les choses, però, ci rendiamo conto che questa affermazione è fin troppo semplicistica, dal momento che Foucault tende piuttosto a credere che la modernità pensi l’identità come una “forme de distance”, distanza che la separa internamente ma la costituisce esteriormente. Per dare autorevolezza a questa precisazione, si citerà Deleuze:
Longtemps Foucault avait pensé le dehors comme une ultime spatialité plus profonde que le temps; ce sont les derniers ouvrages qui redonnent une possibilité de mettre le temps au dehors, et de penser le dehors comme temps, sous la condition du pli. [10]
La concezione spazio-temporale di Foucault, quindi, è assimilabile a quella dei quadri di Escher: piani che si incavano su se stessi per curvarsi in un’altra dimensione temporale. L’eterotopia, infatti, non è altro che un reticolo di correlazioni e alienazioni dello spazio-tempo, di identità e rovesciamento degli spazi circostanti, di assunzione e rifiuto del sistema temporale dei luoghi ad essa collegati. È sotto questi aspetti che giace la vera essenza dell’eterotopia, forse ancor più dell’identificare i principi di esistenza proposti da Foucault. L’isola di Robinson – ma si direbbe lo stesso dell’isola di Prospero – è così caratterizzata da questo assillante intreccio spazio-temporale, rimarcato al lettore sia esplicitamente sia implicitamente. L’attenzione per lo scorrere del tempo è infatti nevrotica, come si nota dall’ossessione di Robinson per i giorni impiegati a dar vita ai propri progetti. L’isola in cui vive il protagonista, infine, è dipinta come un luogo uguale e assolutamente differente da tutti gli altri: “espace autres”, spazio sovversivo ma intimamente modellato sulla società inglese del tempo attraverso i vari gradi della somiglianza. Il caso di Defoe non è affatto isolato e, se si volessero ripercorrere le pagine dei più importanti romanzi insulari di Stevenson, Wells, Conrad o Barnes, si avrebbe piena contezza della vastità di questo fenomeno, probabilmente uno dei più affascinanti della letteratura inglese. Per il momento, però, possiamo mettere in secca la nostra barca.
[1] M. Foucault, Les mots et les choses: une archéologie des sciences humaines, Gallimard, Paris, 1966, pp. 9-10.
[2] Ivi, p. 133.
[3] M. Foucault, Les Hétérotopies, intervento radiofonico a France-Culture, 7 dicembre 1966, in M. Foucault, Les Corps Utopique. Les Hétérotopies, Éditions Lignes, Paris, 2019, pp. 23-24.
[4] Ivi, p. 25.
[5] P. Lago, La nave, lo spazio e l’altro. L’eterotopia della nave nella letteratura e nel cinema, Mimesis, Sesto San Giovanni, 2016, p. 84.
[6] M. Foucault, Nieztsche, Freud, Marx, cit., p. 138-139.
[7] Cfr. C. Lévi-Strauss, Les structures élémentaires de la parenté, Mouton de Gruyter, Mouton, The Hague, 2002, p. 29.
[8] D. Defoe, Robinson Crusoe, ed. J. Richetti, Penguin, London, 2012, p. 191.
[9] Cfr. F. Fortrier, Les stratégies textuelles de Michel Foucault, Nuit Blanche, Quebec, 1997, p. 27.
[10] G. Deleuze, Foucault, Ed. de Minuit, Paris, 1986, p. 115.
Yuri Sassetti è nato il 15 gennaio 1995 a Siena. Una volta conseguito il titolo di laurea triennale in Studi letterari e filosofici all’Università degli Studi di Siena con una tesi sulle figurazioni del vampiro nella letteratura gotica inglese, decide di proseguire il percorso di formazione nella città dove è nato iscrivendosi a Lettere moderne ma specializzandosi nelle letterature straniere. Ama leggere e scrivere poesie, suona la chitarra in una band e trova interessante il cinema impegnato. Attualmente sta pensando alla raccolta e pubblicazione di una serie di saggi di critica letteraria.
Immagine: Eaton’s Neck, Long Island, 1872/ John Frederick Kensett (MET collection OA Public Domain)