Letteratura

Letture di redazione

Cosa abbiamo letto ad Aprile in redazione


Due vite
Emanuele Trevi
Neri Pozza, 2021

Due vite, candidato al Premio Strega 2021, è un libello prezioso che si regge su di una prosa piana, aperta rapsodicamente a moti di suggestiva riflessione e intensa figuralità che ne arricchiscono le sfumature e la profondità, senza mai minarne l’omogeneità e la coerenza di fondo. Trevi è ormai un maestro a gestire in maniera del tutto naturale le sfumature di tono e le variazioni di registro mediante gli smottamenti interni di una lingua che rimane sempre in equilibrio tra scavo intimistico e narrazione aneddotica, tra commento e rievocazione memorialistica. Il libro racconta per momenti e frammenti due biografie, quella di Rocco Carbone e di Pia Pera, e in parte quella dello stesso Trevi, la cui presenza autoriale in quanto narratore e personaggio della storia emerge in controluce dall’accostamento reiterato che le scene narrate sviluppano per immagini e passaggi significativi. Ne vien fuori non solo un’opera ricca di calore e di colori, che restituisce al lettore il piacere (tante volte negato) della lettura, ma anche e soprattutto una geografia dell’anima (conoscere gli altri significa anche conoscere meglio sé stessi) che declina con passione e accorata vicinanza il sentimento dell’amicizia, interrogando romanzescamente le luci e le ombre che ne costituiscono in maniera eterogenea e complementare la sfuggente fisionomia.


Notturni
Kazuo Ishiguro
Einaudi, 2019
trad. it. Susanna Basso

Le cinque storie che Ishiguro, premio Nobel per la letteratura nel 2017, confeziona in questo libro sono, proprio come recita il titolo, dei “notturni”, composizioni dal tono sognante e crepuscolare, in cui i protagonisti, sempre musicisti, raccontano con sguardo leggermente disincantato brani di vita che svelano al fondo illuminazioni di senso quasi impercettibili ma pur sempre pulsanti. Alternando con sapiente rigore toni drammatici ed elegiaci e registro comico-umoristico, i racconti Notturni si dipanano lievemente come sinfonie minime, in cui i sentimenti e le emozioni che emergono dall’intreccio e dallo scontro dei vari personaggi rimangono sospesi a mezz’aria, incapsulati in un perimetro narrativo che rimane consapevolmente fedele a sé stesso, mantenendo una coerenza di base per cui il flusso orizzontale del racconto e la caratterizzazione peculiare dei caratteri non cedono a eccessive depressioni verticali e intimistiche. La prosa contenuta, moderata ma foriera di immagini di Ishiguro plasma atmosfere familiari che incorniciano meravigliosamente storie di vecchie glorie decadute, di giovani che tentano di sfondare, di talenti svezzati, di serenate organizzate al chiaro di luna. Sullo sfondo, quasi sempre presente, fa capolino Venezia, città regina della notte.


Le otto montagne
Paolo Cognetti
Einaudi, 2016

Le otto montagne di Paolo Cognetti, romanzo vincitore del Premio Strega nel 2017, è un libro nitido – come l’aria sulle montagne più alte –, in cui al lettore è concesso solo il necessario. Con una prosa semplice, senza orpelli, ma allo stesso tempo emozionante, Cognetti mette in scena una storia di formazione. La struttura del testo rimanda alle più importanti tappe della vita, e la montagna è in qualche modo il totem che rende questa evoluzione esistenziale possibile. Il romanzo si divide in tre parti: Montagna d’infanzia; La casa della riconciliazione; Inverno di un amico. Il protagonista, Pietro, è un bimbo timido e taciturno che vive a Milano con i suoi genitori, diversi tra loro ma uniti da un grande passione per la montagna: la madre è una persona affabile, capace di stringere legami con facilità e sempre disposta a farsi carico dei problemi altrui; il padre, al contrario, è un uomo seducente ma incapace di mostrare apertamente i propri sentimenti. Pietro inizialmente non sembra capire l’amore che lega i suoi genitori alla montagna, eppure, col passare degli anni, quello stesso elemento fondativo che ha permesso alla sua famiglia di formarsi diventerà per il protagonista il posto dove poter meditare e riappropriarsi degli affetti più cari. Il luogo da cui parte la scalata verso l’età adulta è Grana, un piccolo Paesino ai piedi del Monte Rosa, dove, dal 1984, tutti gli anni, Pietro e la sua famiglia vanno in vacanza. È proprio partendo da questo semideserto villaggio che Pietro segue per la prima volta suo padre sulle alte cime innevate e dallo stesso luogo si allontanerà da adolescente per poi riavvicinarsene ormai da adulto. A Grana, Pietro, grazie all’aiuto della madre, fa amicizia con Bruno, un piccolo pastore suo coetaneo, che si aggira con le mucche vicino al torrente che il giovane milanese ama osservare. Questa amicizia diviene ben presto l’unico faro luminoso nella vita anaffettiva di Pietro. Bruno è una sorta di fratello col quale condividere la propria vita attraverso il puro ed energico linguaggio della montagna, e anche quando Pietro si allontanerà quella luce continuerà a brillare grazie al silente lavoro del padre che, nella seconda parte del libro, con un suo ultimo e grande lascito permetterà il riavvicinamento con l’amico d’infanzia.


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