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Agli occhi di una vasta fetta di pubblico, scrivere di Houellebecq significa cadere nella medesima trappola riservata a coloro che intendono indagare la letteratura di Céline, cioè quella che consiste nel voler prendere seriamente e pretendere di giustificare un autore scomodo, spiacevole e oltremodo scorretto attraverso un’attenta e puntuale interpretazione della sua estetica. Per alcuni, si compie addirittura un errore più grande: l’assunzione a idolo di un uomo fortemente invischiato nei paradigmi e nelle controversie della contemporaneità. Tali commenti sono ovviamente da ritenersi superficiali, nonché frutto di una parziale e imprecisa lettura dell’opera di Houellebecq, ma sono indicatori di quella postura moralista profondamente legata alla nostra epoca e costantemente riformulata nei riguardi di ogni campo del sapere. Houellebecq, rispetto a molti dei suoi colleghi coevi, è chiaramente in controtendenza. Innanzitutto, in un mondo letterario in cui molti vogliono essere riconosciuti per la verità che propugnano libro dopo libro, Houellebecq è completamente disinteressato alla necessità di essere riconoscibile: ecco quindi che, come messo di fronte a numerosi copioni, impara la parte dello scrittore qualunquista indifferente alla vita politica, veste i panni del maschio bianco eterosessuale e sessista, inforca gli occhiali e si trasforma in un raffinato critico di Huysmans oppure si diverte a interrogare la sfera di cristallo, giocando con il futuro e prevedendo scenari apocalittici per l’umanità. Negli ultimi romanzi, poi, lo sguardo di Houellebecq si è allargato alla religione e alla critica sociale, evidenziando ancora una volta come la prima volontà di questo autore sia quella di evadere da qualsivoglia schema precostituito, categoria manualistica o corrente di pensiero. Essere tutto e il contrario di tutto, prendersi poco seriamente, portare agli estremi limiti la differenza tra persona e personaggio, oscillare tra il cinismo e il rispetto: è in questi cortocircuiti, è in queste discrepanze che Houellebecq fa fiorire la sua produzione letteraria.
Se fosse stato solo questo a caratterizzare e a differenziare il freddo discorso di Houellebecq dalla prosa sinuosa e avvolgente dei vari Ernaux, Le Tellier e Bon, bisogna ammetterlo, non staremmo oggi parlando di uno dei narratori stranieri contemporanei più controversi e interessanti. Tanto apprezzato all’estero – Bompiani ha già pubblicato i primi due volumi dell’opera completa – quanto criticato in patria – c’è chi lo definisce “vulgaire” o “illisible” –, Houellebecq è un intellettuale poliedrico e spudorato, troppo curioso per limitare la propria voce artistica alle sole lettere e, quindi, quintessenza di quella teoria estetica già propugnata da Pasolini e oggi ostinatamente promossa da Carrère. Per tal ragione, Houellebecq non ha mancato l’occasione di legarsi sentimentalmente e professionalmente al mondo cinematografico, proponendosi come regista, sceneggiatore e, nell’ultimo decennio, anche come attore, concedendosi in due occasioni il lusso di interpretare narcisisticamente e inverosimilmente se stesso. Trovando familiari le luci dei riflettori e l’odore di cipria, poi, ha fatto del salotto televisivo l’ennesimo palcoscenico in cui vestire i panni di qualcun altro, come quelli del glaciale sociologo o del beffardo insegnante, ma rifiutandosi sempre di apparire banale e convenzionale. Infine, mai pago e in ostinata ricerca di una nuova (seppur effimera) identità, Houellebecq ha cercato di occultare la cicatrice lasciata dal doloroso divorzio tra Lettere e Musica incidendo un disco le cui tracce si presentano come l’adattamento su spartito di alcuni testi del corpus houellebecqiano, dimostrando ancora una volta come l’eclettismo rappresenti una parte considerevole della sua estetica.
Houellebecq è un intellettuale poliedrico e spudorato, troppo curioso per limitare la propria voce artistica alle sole lettere
Queste considerazioni potrebbero essere sufficienti a sottolineare l’originalità di Houellebecq, ma non il suo genio, dal momento che, a differenza di tantissimi colleghi coevi, ogni romanzo pubblicato diventa un attacco dinamitardo capace di far scuotere sia la critica accademica dal suo torpore sia la società civile dalla propria apatia. Houellebecq, d’altronde, non è mai stilisticamente e contenutisticamente banale, ma soprattutto non ha timore di oltrepassare i limiti imposti dall’etica e dal politicamente corretto, benché lo faccia indossando sempre una maschera. I protagonisti houellebecqiani, infatti, sono quanto di più moralmente decadente esista: cinici, misogini, omofobi, atei, rancorosi e violenti sono soltanto alcuni degli archetipi cari allo scrittore francese, nonché i bersagli preferiti di chi osteggia la sua opera. Se così fosse, però, se davvero Houellebecq si divertisse solamente a far parlare di sé per l’eccesso, generando un vociare sconcertato utile esclusivamente alla vendita di migliaia di copie, lascerebbe la critica indifferente. I suoi personaggi, invece, dietro alla loro cruda violenza verbale, al loro profondo conservatorismo e alla loro spietata ferocia, sono quanto di più attuale, prossimo e vivo esista oggi nel panorama letterario europeo. Houellebecq, nell’atto di descrivere esseri umani alienati, sessualmente impotenti e incapaci di interfacciarsi con la società circostante, non fa altro che trascrivere sulla bianca carta i dubbi, le paure, le insicurezze e i limiti dell’uomo contemporaneo, operazione che avvicina l’autore a Sartre, piuttosto che al marchese de Sade.
Non è tutto qui. Negli ultimi romanzi, Houellebecq ha accorciato la distanza temporale che finora separava il lettore dall’ambientazione della vicenda, preferendo un futuro prossimo a un’epoca post-apocalittica non ben definita. Questa rivoluzione stilistica ha reso ancor più cocenti i drammi esistenziali dei tre singoli protagonisti, dal momento che ha costretto il lettore a riconoscere l’estrema familiarità delle situazioni narrate, perdendo così il privilegio di credere che la società houellebecqiana rappresentasse una realtà troppo distante per riguardare personalmente ognuno di noi. Attraverso questo semplice stratagemma, l’opera di Houellebecq ha toccato vette sublimi e, al contempo, mortifere, giacché ha squarciato definitivamente il velo che oscurava la parte più abietta, repellente e oscena della natura umana e ha confermato in maniera assolutamente decisa come una redenzione vera e propria sia impossibile per l’uomo contemporaneo, ormai ridotto a non avere qualità. È in questo senso che vanno interpretate le debolezze di questi recenti protagonisti, i quali sono incapaci di costruire e preservare un nucleo familiare, di resistere all’opportunismo e di vivere felici, ed è partendo da questa impostazione filosofica che sarà più facile la comprensione di gran parte della produzione in versi e saggistica di Houellebecq.
Houellebecq, nell’atto di descrivere esseri umani alienati, sessualmente impotenti e incapaci di interfacciarsi con la società circostante, non fa altro che trascrivere sulla bianca carta i dubbi, le paure, le insicurezze e i limiti dell’uomo contemporaneo
Houllebecq, però, si spinge ancora oltre e, estendendo al massimo il proprio magistero intellettuale sul lettore, arriva a far vacillare ogni certezza, a far dubitare della speranza e a instillare nella mente il senso di un’ineluttabile fine: “le domaine de la lutte”, volendo avvalersi di un’espressione cara all’autore. A differenza di altri scrittori coevi, infatti, Houellebecq si rifiuta di credere al lieto fine o alla funzione salvifica della letteratura, dal momento che l’uomo contemporaneo è eccessivamente corrotto, imperfetto, degradato ed egoista per meritarsi o permettersi qualsivoglia tipo di salvezza. Anche questa volta, però, è la maschera che parla al lettore: Jed, attraverso la realizzazione di una composizione visuale, ricorda come l’opera del genere umano sarà spazzata via dal tempo e dalla natura; François, affermando di non aver niente da rimpiangere, tradisce la condizione di una vita votata alla disillusione; Florent-Claude, adottando ironicamente il punto di vista di Cristo, riflette sull’insensatezza di sacrificarsi per un’umanità così miserabile. È così che, soprattutto negli ultimi romanzi, l’estetica houellebecqiana abbraccia freddamente un nichilismo cosmico, una profonda angoscia e un dolore insanabile.
Si capisce bene, quindi, come il pensiero di Houellebecq si ponga in maniera conflittuale nei confronti delle aspettative di una vasta fetta di pubblico, dal momento che il mercato letterario odierno – composto sempre più da corpi e sempre meno da voci – ha abituato il lettore a una narrazione facilmente consumabile e tendenzialmente euforica. Houellebecq, al contrario, rifugge molti degli stereotipi propugnati dai suoi colleghi coevi, accettando l’impotenza e l’inabilità a cui siamo costretti dalla nostra epoca e soffocando ogni falsa speranza che vuol farci credere di essere migliori di quel che in realtà siamo. D’altronde, Houellebecq, così come Lautréamont prima di lui, imbastisce un dialogo con il lettore che è destinato a prendere la forma del soliloquio, allorquando si comprende la natura universale delle parole impresse sulla pagina. Una volta entrati in questo cosmo in cui nichilisticamente e miserabilmente si accetta la propria condanna a vivere, ha ancora senso osteggiare Houellebecq? “Il semblerait que oui”.
Yuri Sassetti è nato il 15 gennaio 1995 a Siena. Una volta conseguito il titolo di laurea triennale in Studi letterari e filosofici all’Università degli Studi di Siena con una tesi sulle figurazioni del vampiro nella letteratura gotica inglese, decide di proseguire il percorso di formazione nella città dove è nato iscrivendosi a Lettere moderne ma specializzandosi nelle letterature straniere. Ama leggere e scrivere poesie, suona la chitarra in una band e trova interessante il cinema impegnato. Attualmente sta pensando alla raccolta e pubblicazione di una serie di saggi di critica letteraria.
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