Letteratura

Per un’introduzione critica alla letteratura fantastica


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Dare una definizione teorica del fantastico in letteratura è un compito complesso e incredibilmente articolato. Ciò accade, innanzitutto, perché la narrazione fantastica, a differenza di quella mimetico-realistica, si poggia quasi esclusivamente su quel patto finzionale soggiacente fra testo e lettore che Coleridge definiva «suspension of disbelief»[1], ma anche perché l’utilizzo inflazionato dell’aggettivo “fantastico” autorizza una quantità innumerevole di interpretazioni e significati diversi, difficili dunque da canalizzare entro un sistema critico e teorico applicato alla letteratura. Inoltre il quadro è reso maggiormente problematico e variegato dai numerosi studi e dalle abbondanti definizioni che si sviluppano sin dalla prima metà dell’Ottocento e che sono andate moltiplicandosi negli ultimi trent’anni del XX secolo. È proprio la seconda metà del Novecento la stagione più feconda della critica e della teoria riguardante il fantastico in letteratura. Soprattutto in Francia, a partire dal saggio di Pierre-Georges Castex Le conte fantastique en France de Nodier à Maupassant del 1951, si va configurando un filone di scritti critici di notevole rilevanza, che culminerà con il lavoro cardine di Tzvetan Todorov Introduction à la littérature fantastique del 1970. Castex, partendo da una netta distinzione tra racconto d’invenzione convenzionale e racconto fantastico, affida a quest’ultimo l’intromissione improvvisa del mistero in un quadro di apparente realtà; scrive infatti:

Le fantastique se caractérise par une intrusion brutale du mystère dans le cadre de la vie réelle; il est généralement lié aux états morbides de la conscience qui, dans les phénomènes de cauchemar ou de délire, projette devant elle des images de ses angoisses ou de ses terreurs[2].

Roger Caillois, nel saggio Nel cuore del fantastico, introduce il concetto di “rottura” dell’ammissibile, del regolare; prendendo in prestito le sue parole:

Il fantastico è tale solo se appare come scandalo inammissibile dall’esperienza o dalla ragione. Se una qualche decisione irriflessiva o circostanza aggravante meditata ne fa il principio di un nuovo ordine di cose, il fantastico è immediatamente annientato. Non è più in grado di provocare angoscia o stupore. Diventa l’applicazione conseguente, metodica, di una volontà deliberata che non intende lasciar nulla al di fuori del nuovo sistema[3].

Più avanti vi ritorna, in modo ancor più icastico:

Il fantastico è dunque rottura dell’ordine riconosciuto, irruzione dell’inammissibile all’interno della inalterabile legalità quotidiana, e non sostituzione totale dell’universo reale con un universo esclusivamente prodigioso per l’universo reale[4]. 

 

La seconda metà del Novecento è la stagione più feconda della critica e della teoria riguardante il fantastico in letteratura

Louis Vax, invece, se ne La séduction de l’étrange sostiene che «per imporsi, il fantastico non deve soltanto fare irruzione nel reale, bisogna che il reale gli tenda le braccia, consenta alla sua seduzione»[5], ne La natura del fantastico, focalizzando maggiormente le sue attenzioni sugli aspetti formali di alcuni tra i più famosi racconti fantastici, considera il fantastico come una «categoria estetica» che esprimendosi «nelle forme letterarie più diverse, come la ballata, la novella, il romanzo o il dramma, gremisce la letteratura»[6]. Nonostante i meriti e i risultati riconoscibili a tali opere critiche, è la pubblicazione nel 1970 de Introduction à la littérature fantastique di Tzvetan Todorov a segnare una svolta definitiva nell’ambito degli studi e a riaprire, a livello internazionale, il dibattito teorico. La sua definizione di “fantastico”, che si situa al centro di quella ripartizione tripartitica che vede ai suoi lati lo “strano” e il “meraviglioso”, ha il merito di incidere all’interno di un unico discorso letterario intuizioni precedenti, che però tendevano ad allontanarsi dal contesto puramente teorico-critico e di mettere in piedi un sistema che, pure essendo caratterizzato da inevitabili pecche, tenta di autoaffermarsi in modo indipendente, dando vita ad una struttura elaborata che resiste ancora oggi, nonostante le numerose critiche successive che le sono state rivolte. Egli inizialmente cita le definizioni ormai canoniche di Castex, Caillois e Vax, ma tenta di superarle, o meglio di integrarle, ponendo l’accento, «sul carattere differenziale del fantastico (come linea di spartizione tra lo strano e il meraviglioso)»[7], fermo restando che «un genere si definisce sempre in relazione a generi consimili»[8]. È necessario dunque soffermarci su alcuni passaggi chiave dell’opera. Questa è la sua definizione di “fantastico”:

In un mondo che è sicuramente il nostro, quello che conosciamo, senza diavoli, né silfidi, né vampiri, si verifica un avvenimento che, appunto, non si può spiegare con le leggi del mondo che ci è familiare. Colui che percepisce l’avvenimento deve optare per una delle due soluzioni possibili: o si tratta di un’illusione dei sensi, di un prodotto dell’immaginazione, e in tal caso le leggi del mondo rimangono quelle che sono oppure l’avvenimento è realmente accaduto, è parte integrante della realtà, ma allora questa realtà è governata da leggi a noi ignote. […] Il fantastico occupa il lasso di tempo di questa incertezza; non appena si è scelta l’una o l’altra risposta si abbandona la sfera del fantastico per entrare in quella di un genere simile, lo strano o il meraviglioso. Il fantastico è l’esitazione provata da un essere il quale conosce soltanto le leggi naturali, di fronte a un avvenimento apparentemente soprannaturale[9].

Appare chiaro, inoltre, come lo sviluppo critico di Todorov prescinda totalmente da quell’altra grande tendenza critica, sostenuta da autori come Lovecraft[10] e studiosi come Penzoldt[11], capace di valutare la legittimità del racconto fantastico in base alla paura e al terrore provocati nel lettore e di elevare una reazione soggettiva a barometro di un’intera categoria letteraria; criterio da cui, come scrive lo stesso Todorov, si dovrebbe dedurre «che il genere di un’opera dipenda dal sangue freddo del suo lettore»[12]. Tale valutazione rivela in modo ancor più evidente la sua paradossalità nel momento in cui constatiamo che «vi sono racconti fantastici da cui ogni paura è assente»[13] e che, come scrive Alazraki, «lo fantástico puede ser, entonces, una manera de jugar con los miedos del lector, pero puede ser, además, una forma de tocar la realidad prescindiendo de esquemas y sistemas lógicos»[14]. Ovviamente effetti di suspense, timore e paura, sono caratteristici di gran parte delle narrazioni fantastiche del primo Ottocento, ma non è minimamente indicativo considerare essi come gli unici validi criteri di valutazione. Il salto qualitativo e lo scarto con le definizioni precedenti si mostra poi nella puntualità con cui Todorov precisa e completa la sua definizione, chiarendo l’entità di chi si deve configurare come soggetto esitante – lettore e/o personaggio – e le particolarità dell’esitazione:

Adesso siamo in grado di precisare e di completare la nostra definizione del fantastico. Esso esige che siano soddisfatte tre condizioni. In primo luogo, occorre che il testo obblighi il lettore a considerare il mondo dei personaggi come un mondo di persone viventi e ad esitare tra una spiegazione naturale e una spiegazione soprannaturale degli avvenimenti evocati. In secondo luogo, anche un personaggio può provare la stessa esitazione; in tal modo la parte del lettore è per così dire affidata ad un personaggio e l’esitazione si trova ad essere, al tempo stesso, rappresentata, diventa cioè uno dei temi dell’opera. Nel caso di una lettura ingenua, il lettore reale si identifica con il personaggio. È necessario infine che il lettore adotti un certo atteggiamento nei confronti del testo: egli rifiuterà sia l’interpretazione allegorica che l’interpretazione “poetica”. La prima e la terza condizione costituiscono veramente il genere; la seconda può non essere soddisfatta[15].

 

La pubblicazione nel 1970 de “Introduction à la littérature fantastique” di Tzvetan Todorov segna una svolta definitiva nell’ambito degli studi

È dunque evidente come il “dubbio”, che sia o meno condiviso dal personaggio e dal lettore, si erga a elemento costituente del genere fantastico, attraverso il tramite di un’interpretazione letterale che non sfoci nel “poetico”, ossia in un assottigliamento della matrice di rappresentatività del mondo evocato, inevitabilmente affievolita nella poesia, e che d’altra parte non si perda nell’allegoria, sacrificando il testo ad una lettura figurata che non può essere compatibile con il fantastico; d’altronde «finzione e senso letterale sono […] condizioni necessarie all’esistenza del fantastico»[16]. Nei capitoli successivi Todorov completa il discorso, analizzando le due restanti componenti della triade al cui centro vi è il fantastico. Lo “strano puro”, a cui Todorov si riferisce come un vero e proprio genere, sussiste nel momento in cui è possibile razionalmente dar conto dei fenomeni descritti; il “meraviglioso puro”, invece, quando si ammettono «nuove leggi di natura in virtù delle quali il fenomeno può essere spiegato»[17]. Il fantastico, dunque, «dura soltanto il tempo di un’esitazione»[18] e di conseguenza, continua Todorov, «se alla fine della storia, il lettore, se non il personaggio, prende comunque una decisione, opta per l’una o per l’altra soluzione […] evade dal fantastico»[19]. Inoltre, data la casistica così estesa ed eterogenea dei possibili testi rientranti in tali categorie, Todorov deve poi ricorrere a due altri “sottogeneri” transitori: “il fantastico strano” e il “fantastico meraviglioso”. Essi vengono definiti transitori perché, nei testi definibili con tali etichette, l’esitazione fantastica è rintracciabile sino ad un dato momento, poi essa si risolve o in una spiegazione razionale nel caso del “fantastico strano” o in un’accettazione del soprannaturale nel “fantastico meraviglioso”. La teoria todoroviana, costruita e ricamata intorno a queste definizioni, nonostante i suoi riconosciuti meriti, è stata posta al centro di numerosi dibattiti critici negli anni successivi, che ne hanno sottolineato l’astrattezza, l’ambiguità, l’invadente influsso strutturalista e l’evidente difficoltà nel creare un canone di testi esemplari. Tuttavia Introduction à la littérature fantastique rimane tuttoggi un’opera cardine e imprescindibile, con cui è inevitabile confrontarsi ogniqualvolta si portino avanti operazioni teoriche riguardanti il fantastico in letteratura.


[1] Cfr. S.T. COLERIDGE, Biographia literaria, Oxford, Oxford University Press, 1979, vol. II, cap. XIV, p. 6: «In which it was agreed that my endeavours should be directed to persons and characters supernatural, or at least romantic; yet so as to transfer from our inward nature a human interest and a semblance of truth sufficient to procure for these shadows of imagination that willing suspension of disbelief for the moment, which constitutes poetic faith».

[2] P.G. CASTEX, Le conte fantastique en France: de Nodier à Maupassant, Paris, Corti, 1951, p. 8.

[3] R. CAILLOIS, Nel cuore del fantastico, Milano, Abscondita, 2004, p. 28.

[4] Ivi, p. 152.

[5] L. VAX, La séduction de l’étrange, Paris, PUF, 1965, p. 88 (citato da R. CESERANI, Il fantastico, Bologna, Il Mulino, 2000, p. 51).

[6] L. VAX, La natura del fantastico, Roma-Napoli, Edizioni Theoria, 1987, p. 29.

[7] T. TODOROV, La letteratura fantastica, Milano,Garzanti, 1977, p. 28.

[8] Ibidem.

[9] Ivi, p. 26.

[10] Cfr. H.P. LOVECRAFT, L’orrore soprannaturale in letteratura, Roma-Napoli, Edizioni Theoria, 1989, p. 35: «L’unico criterio per stabilire se si tratta realmente di un’opera fantastica è semplicemente questo: se in essa venga risvegliata o no nel lettore una viva sensazione di paura e di contatto con mondi e poteri sconosciuti; un indefinibile atteggiamento di trepido ascolto, come per il battito di ali misteriose o per il raschiare di forme ed entità estranee lungo i confini del mondo conosciuto».

[11] Cfr. P. PENZOLDT, The supernatural in Fiction, London, Peter Nevill, 1952.

[12] T. TODOROV, Op. cit., p. 36.

[13] Ivi, pp. 36-37.

[14] J. ALAZRAKI, En busca del unicornio: los cuentos de Julio Cortázar: elementos para una poética de lo neofantastico, Madrid, Gredos, 1983, p. 35.

[15] T. TODOROV, Op. cit.,p. 34.

[16] Ivi, p. 77.

[17] Ivi, p. 43.

[18] Ibidem.

[19] T. TODOROV, Op. cit., p. 43.


Niccolò Amelii è nato nel Novembre del 1995 ad Atri (TE). Dopo aver conseguito il titolo di laurea triennale in Studi letterari e filosofici all’Università di Siena, si è laureato nel 2020 in Editoria e scrittura all’Università La Sapienza. Attualmente è dottore di ricerca in Lingue, Letterature e Culture in Contatto presso l’Università degli Studi di Chieti-Pescara. Collabora con “Flanerí”, “La Balena Bianca” e “Limina”, ha pubblicato articoli saggistici e racconti su diverse riviste e blog, tra cui “Diacritica”, “Nazione Indiana”, “Altri Animali”, “The Vision”, “Kobo”, “Clean”, “Poetarum Silva”, “Pastrengo”, “Antinomie”, “Micorrize”, “Efemera”, “Suite Italiana”, “Sulla quarta corda”, “Grado Zero”, “Scenari”, “Dude Mag”, “Grande Kalma”.  


Immagine: [Fontainebleau Forest], early 1860s / Eugéne Cuvelier (MET collection OA Public Domain)