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Breve storia della follia


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La follia è da sempre considerata come il procedere del diverso in rapporto a un pensiero chiuso, discriminante [1]. Un primo riferimento filosofico alla follia lo riscontriamo in Platone che, soprattutto nel Fedro, parla delle quattro forme di follia: delirio mantico o divinazione, delirio telestico, delirio poetico e quello che scatena l’amore. La follia non è mai stata categorizzata e limitata nel suo manifestarsi. L’abilità fisica nel combattimento che i celtici e, in seguito, i romani adoperavano per le battaglie era chiamata Follia Divina; questa simbiosi fra guerriero e divinità sfociava nella forza brutale e nella sete di sangue. Tutto il pensiero medico-filosofico precristiano scinde la follia in psicologica e organica, quest’ultima la più dannosa. Tale tematica produce interpretazioni che spaziano dalla magia e la religione fino alla psichiatria moderna. Nel Medioevo il folle diviene emblema della condizione umana senza senso, ma al contempo viene considerato possessore di un sapere misterioso e ampio, il quale gli permette di vedere realtà superiori, è sia sapiens che mago. La follia, in età rinascimentale, permette all’uomo di liberarsi dalle preoccupazioni e dalle ansie, inebriandolo di piacere. Ed ecco che un autore utilizza, così, l’ironia e la satira pur trattando di argomenti impegnativi e gravosi: si alleggerisce il compito dello scrittore e la fruizione del lettore. Difatti, Erasmo da Rotterdam, nel suo Elogio della Follia, fa parlare direttamente lei, la Follia: «[…] io sola, dico, ecco ho il dono di rallegrare gli Dèi e gli uomini» [2]. La follia permette di dare libero sfogo a tutti i volti dell’animo umano, utili alla dissimulazione delle proprie responsabilità. Nel trattato erasmiano la follia è una Dea, padrona dell’uomo e guida verso la vera sapienza. Il diverso da sé rinascimentale, il pazzo cioè, va lasciato stare e dev’essere rispettato. Il coevo Ludovico Ariosto, con il suo paladino Orlando, rivela tutte le fragilità della natura umana: Orlando è un eroe umanizzato che perde il senno per un amore non corrisposto. Tutto il poema è un’allegoria dell’inarrestabile protendersi umano verso ciò che è vano; i temi cavallereschi, l’amore, la pazzia e la magia fanno da sfondo alla vittoria della Passione sulla Ragione. Il topos dell’uomo sopraffatto dalle emozioni nasce prima: basti pensare al senechiano Hercules furens, che fa strage di moglie e figli in preda alla follia innestatagli da Giunone o alla Medea di Euripide, la quale uccide i figli perché imbevuta d’odio verso il marito Giasone. Ecco anche l’infelice Didone, che si suiciderà per l’amore non corrisposto d’Enea. La follia, dopo l’“invenzione” dell’internamento per i “pazzi”, viene ghettizzata, negativizzata ed emarginata, soprattutto nel periodo dell’Illuminismo. Con l’epoca positivista ecco che l’alienato è proprio una macchina mal funzionante, un elemento negativo per la società. L’unico spazio rimasto disponibile al folle per esprimere sé stesso è l’arte. Già Aristotele, nei Problemata XXX, affrontava tale argomento nel segno del rapporto melancolia/genialità, affermando, in poche parole, che tutti gli uomini straordinari sono melancolici. Da qui in poi abbiamo un continuo interscambio fra follia e creazione. Secondo Gilles Deleuze è compito della letteratura liberare la mente del malato e si può diventare altro solo creando una nuova lingua, perché la follia è linguaggio [3].

Nel medioevo il folle è ancora parte integrante della società e l’isolamento non gli preclude un ruolo sociale e simbolico, stereotipo della vanità della natura umana e punto di partenza per le paure delle persone. In questo periodo la figura del folle ha largo utilizzo in pittura: infatti La nave dei folli (‘Das Narrenschiff’, 1494) di Brant è uno dei libri tedeschi di maggior fortuna di sempre anche grazie alla iconografie di Dürer. La nave dei folli è un’allegoria dei difetti dell’umanità; nella parte introduttiva, Brant scrive che, per arrivare a Narragonia, la nave passerà prima per Narbona, nel paese della Cuccagna e a Montefiascone. È un lungo poema in dialetto alsaziano di critica satireggiante, ma non per questo meno aspra nei confronti dei costumi del tempo. La nave dei folli richiama le navi che salpano per l’America, scoperta due anni prima. Brant è il primo progressista dell’età moderna e crede nel potere innovativo delle città. La città è il luogo dove cadono le superstizioni, l’invidia, gli odi. Dentro la nave del tedesco ci sono tutti i folli premoderni, adulteri, bestemmiatori, invidiosi, giocatori d’azzardo. Il pazzo possiede un sapere oscuro e proibito, associato ai maghi e ai sapienti. Anche la teologia trova le sue implicazioni: la ragione umana è follia rispetto a quella di Dio. Il rapporto fra follia e ragione è riproposto con la distinzione fra la “folle follia”, il rifiuto e il conseguente ingrandimento d’essa, e la “saggia follia”, lasciata penetrare nei pensieri [4]. Con l’Età Classica e le riflessioni cartesiane e di Montaigne, la follia comincia ad allontanarsi dalla comunità e la suggestione che il folle trasmetteva si tramuterà in minaccia. Ora quest’ultimi vengono rinchiusi nelle strutture che erano state adibite un tempo ai lebbrosi o dentro ospedali che si trasformano presto in carceri. L’ozio e la pigrizia diventano emblema del folle, del male, dei vuoti inutili della società. Si crea una spazio di demarcazione fra spazio sociale e follia. Ogni forma sociale che si scontra con la razionalità viene internata: sono internati, come pseudo-folli, maghi, alchimisti, omosessuali, sodomiti, empi, bestemmiatori e sifilitici, puniti da Dio. Vige la punizione fisica poiché il male è legato al corpo. A partire dal XVII secolo l’uomo di sragione è un personaggio concreto, tratto da un mondo sociale reale, giudicato e condannato dalla società. La follia è stata bruscamente investita da un mondo sociale nel quale essa trova il proprio luogo privilegiato ed esclusivo di apparizione; le è stato attribuito un territorio limitato dove ciascuno può riconoscerla e denunciarla. L’involuzione di questo periodo storico, che nega l’individualità del folle nella società e lo generalizza tramite l’internamento, assurge a passaggio obbligatorio per la moderna coscienza medica della follia, che parte dall’ospedale psichiatrico come principio di cura. Da ricordare il fatto che nel XVII secolo a rinchiudere i folli non erano i medici, ma i tribunali, i magistrati: si contrappongono due principi, uno dell’immunità giuridica del folle, incapace di intendere e volere, e uno della concezione sociale che rinchiude la follia nello scandalo e nell’ostracismo. L’internamento, in definitiva, è una punizione etica. Follia e delitto non si escludono, s’implicano. La follia collabora col male per estenderlo e renderlo più efficace. La follia è un’offesa alla moralità, è l’abbassamento alla condizione animale, il rinnegare i valori dell’uomo. I giuristi e i teologi del XVII secolo proclamano invece l’innocenza del folle: esso è salvo perché la sua anima è rimasta esclusa dalla follia.

The Round Tower, from “Carceri d’invenzione” (Imaginary Prisons), ca. 1749–50 / Giovanni Battista Piranesi (MET collection OA, Public Domain)

Foucault esamina varie tipologia di follia, partendo dalle più esteriori, passando per le più inferiori, per arrivare all’essenza del delirio [5]. Fra le più esteriori abbiamo il ciclo delle casualità, distinto in cause prossime e cause lontane: le prime sono un’alterazione chiara del cervello, le seconde comprendono tutti gli eventi violenti, le passioni forti dell’individuo folle, che si rapporta anche con le variazioni del mondo esterno. Lo stesso Foucault descrive successivamente quattro aspetti della follia: 1-2) La demenza e la frenesia: la demenza rimane per tutto il XVII e XVIII secolo la malattia dell’anima più vicina alla follia. Con la demenza può nascere di tutto e di tutto può provocarla. È una sorta d’incapacità di ragionare, è stupidità nell’infanzia, imbecillità in età matura e rimbambimento nella vecchiaia. Sauvages distingue la demenza dalla stupidità poiché i dementi si accorgono delle impressioni ma non gli danno importanza mentre gli stupidi neanche se n’accorgono, c’è una paralisi dell’intelletto [6]. La demenza, inoltre, è una malattia senza febbre, al contrario della frenesia, causata da un eccesso di movimenti e dall’ingorgo delle sostanze che nell’immobilità fermentano e arrivano all’ebollizione. 3-4) Mania e malinconia: Willis definisce la malinconia una follia priva di febbre ma con la presenza del timore e della tristezza [7]. Non si giunge mai al furore, è un’agitazione debole, follia impotente. Il malinconico riflette ma resta inattivo mentre il maniaco è pervaso da un flusso infinito di pensieri forti. La mania deforma concetti e sensazioni e provoca coraggio e furore.

 

A partire dal XVII secolo l’uomo di sragione è un personaggio concreto, tratto da un mondo sociale reale, giudicato e condannato dalla società. La follia è stata bruscamente investita da un mondo sociale nel quale essa trova il proprio luogo privilegiato ed esclusivo di apparizione; le è stato attribuito un territorio limitato dove ciascuno può riconoscerla e denunciarla.

Nonostante l’indicibile forza e valore, gli eroi delle tragedie greche si scontrano con un avversario invincibile, che altera i loro tratti e li annienta: la follia, punizione divina. Già nell’Odissea, Omero ci racconta la vicenda del ciclope Polifemo, il quale, ingannato da Odisseo, risponde alle domande dei compagni affermando che “Nessuno” lo sta cercando di uccidere, passando immediatamente per folle con gli altri ciclopi [8]. Altro celebre folle è il sofocleo Aiace, offuscato dall’offesa della dea Atena. L’eroe, colto da fantasie distruttive e usufruendo di un linguaggio brutale e indegno, fa strage di capi d’allevamento, credendoli i capi degli odiati greci. Dopo questa convulsa fase subentra la depressione, il senso di colpa, il terrore della derisione pubblica e la propensione al suicidio. In Euripide troviamo un approfondito quadro della sindrome maniacodepressiva nell’Eracle e nell’Oreste. Eracle se ne sta per quasi duecento versi seduto per terra, in uno stato di debolezza e autocommiserazione. È la fase depressiva che si oppone allo scatenamento e comporta l’impulso autodistruttivo; si prospetta quindi l’idea del suicidio, frenata dall’amico Teseo, e la voglia di distaccarsi dal consorzio degli uomini. Il semidio, a colloquio con Teseo, rimane muto, incapace di parlare: «Perché mi fai cenno con la mano e indichi quel sangue? Per non contaminarmi con le parole?» [9]. Il corpo non gli risponde, è un deficit motorio analogo a quello d’Oreste nell’omonima tragedia. In Virgilio, la follia non è rappresentata in senso medico o patologico, ma come possessione da parte di un dio, che altera le condizioni dell’uomo. L’impazzire è un processo comune nei romanzi della Tavola Rotonda: abbiamo, per esempio, nella Vita Merlini, il famoso vaticinatore che perde il senno per aver visto cadere in battaglia alcuni dei suoi compagni. La novità dell’Orlando furioso sta nel motivo di tale pazzia: l’Amore-tiranno, la cui fonte è l’Hercules furens di Seneca, modellato a sua volta sull’Eracle di Euripide. Ma una delle fonti principali rimane la vicenda di Tristano e Isotta, nella quale il primo impazzisce dopo aver rinvenuto una lettera dell’amata che risponde ad un corteggiatore, mossa solamente da pietà e da nessun altro sentimento. Tuttavia, Tristano fugge nella foresta e ammattisce, spogliandosi dell’armatura e lamentandosi presso una fontana. Causa del male è anche qui la gelosia, in questo caso infondata. La follia s’impadronisce anche d’Ivano, cavaliere della Tavola Rotonda, protagonista dello Chavalier au lion di Chrétien de Troyes, la cui trasformazione in un’entità ferina lo accomuna al processo psicologico in cui involve Orlando nel Furioso. Fonte d’ispirazione è anche l’Elogio della Follia erasmiano, satira dei costumi del Cinquecento che innalza ai massimi termini il tema della pazzia. Nell’episodio di Astolfo sulla luna è facile riconoscere il sottotesto erasmiano (descrizione del vallone lunare ed elencazione di una serie di casi all’origine delle varie pazzie). Le due opere condividono una retorica ironica e parodica della follia, che abbraccia fonti comuni, come Orazio. Al contempo sono presenti anche altre tradizioni della follia: quella medievale del corteo dei folli e del rovesciamento cavalleresco; quella cristiana, quella paolina ed estatica in Erasmo, quella eroica classica, quella biblica, quella cavalleresca medievale e quella medica nel Furioso. Rimane il fatto che nessuno ha descritto il processo d’impazzimento del paladino come Ariosto, proprio perché non si tratta di un passaggio repentino da stato di sanità a stato d’insanità mentale ma di un lungo processo di sconvolgimento fatto di più tappe. La follia non è un sentimento accessorio.


[1] A. NIGER, La follia come grido e come canto, in Filologia antica e moderna, 2004.

[2] ERASMO DA ROTTERDAM, Encomium Moriae, cap. 1, v. 2.

[3] G. DELEUZE, F. GUATTARI, L’Anti-Edipo, in Capitalismo e Schizofrenia, 1972.

[4] M. FOUCAULT, Stultifera Navis, in Storia della follia in età classica, 1961.

[5] Ivi.

[6] F. B. DE SAUVAGES DI LACROIX, Nosologia methodica sistens morborum classi, generi e specie, e Juxta Sydenhami mentem Botanicorum ordinem, Amsterdam, Fratelli Da Tournes, 1763.

[7] T. WILLIS, De anima brutorum, Londra, 1672.

[8] OMERO, Odissea, libro IX.

[9] EURIPIDE, Heraklès mainòmenos, 423-420 a.C., vv. 1218-1219.


Alessandro Ligioni è nato nel giugno del 1995. Ha conseguito la laurea triennale in Lettere Moderne all’Università di Siena ed è in procinto di terminare nello stesso ateneo il percorso magistrale in Letterature Straniere. Gli piace scrivere articoli, riflessioni ed è molto interessato ad analizzare le dinamiche sociali odierne. Ama la letteratura italiana, il calcio e la campagna.


Immagine: dettaglio da Merrymakers at Shrovetide, ca. 1616-1617 / Frans Hals (MET collection OA Public Domain)