Arte Filosofia

Cassandra alla Tate Modern


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Che relazione c’è fra Cassandra, Greta Thunberg, Al Gore e le opere d’arte contemporanea? Esiste e, in tal caso, in che cosa può consistere? Ce lo spiega pacatamente Theodor Adorno, il maggior esponente del primo periodo della cosiddetta Scuola di Francoforte insieme a Max Horkheimer (con il quale è co-autore della celebre Dialettica dell’Illuminismo), all’interno delle sue opere dedicate all’estetica, la branca della filosofia che – in breve – si occupa del Bello e delle esperienze estetiche. Per Adorno, infatti, nelle opere d’arte ci sono due componenti principali che concorrono a creare un sentimento estetico. Per andare sul semplice, il primo nasce dalla loro diretta percezione, dal loro puro apparire, il che crea un sentimento di unità, un’immagine o una melodia, che conciliano integralmente le singole parti, o «momenti», al proprio interno. Questo staccarsi compattamente dalla fluida e piatta continuità della percezione normale e routinaria è ciò che ci attira inizialmente in un’opera, e non sapendo esprimere meglio questo sentimento la chiamiamo “bella”.

Il secondo, all’opposto, è un movimento centrifugo: va dal particolare all’unità. Nell’atto di soffermarci su un particolare, esso si stacca dall’unità, minandone, dunque l’integrità. L’arte lo fa per sua natura, secondo Adorno; da un lato afferma e dall’altro nega la propria connessione unitaria, e questo può avere delle interessanti conseguenze, per lui. Infatti, al posto della pura sensibilità dell’opera, che balena offrendosi ad uno sguardo fugace, nella fruizione attenta, risvegliata dal particolare, viene riconosciuto il suo «contenuto di verità». Per il filosofo francofortese cogliere questa moltitudine di particolari crea una tensione fra gli elementi, innescando, tra noi – collettivamente e singolarmente – e l’oggetto estetico un processo che è ciò stesso che noi chiamiamo “opera d’arte”. Questo «spirito» dell’opera, questa tensione tra le parti – piuttosto che la loro conciliazione – è per l’autore di Teoria estetica la direzione naturale dell’arte, dalle sue primitive origini, i feticci intrisi di magia, fino alla sua ultima evoluzione nell’arte moderna. Mostrare che la magia è solo un’illusione è ciò che tende a fare l’arte e che si chiama anche «illuminismo» (il cui eccesso, by the way, può essere addirittura fatale all’arte, che di un pizzico di magia ha sempre bisogno). Ed eccoci al nesso tra l’arte contemporanea – col suo brulicare di innovazioni tecniche, di avanguardie, di spiegazioni e soprattutto di distopie – e le “Cassandre” dei giorni nostri, come ad esempio Al Gore e Greta Thunberg, i cui tentativi di avvertire la popolazione dell’imminente catastrofe climatica sono stati in un caso derisi e nell’altro contestati da parte delle masse; o Tristan Harris, fra gli altri, che nel recente The social dilemma, anch’esso subissato di critiche, spiega come nessuno abbia inizialmente preso sul serio le sue valutazioni riguardo l’etica di Google sulla raccolta famelica di big data.

Mostrare che la magia è solo un’illusione è ciò che tende a fare l’arte

Il «contenuto di verità», come abbiamo visto, non corrisponde esattamente al bello fugace dell’apparizione unitaria. Mostra esattamente ciò che la ragione può dire a parole. A volte può non corrispondere affatto al bello. Può essere il suo opposto, il brutto, o anche una possibilità che non vorremmo vedere, un’illusione che va in frantumi. Ecco: chi dice una brutta verità si attira addosso le critiche e le cattiverie di chi si sente derubato delle proprie illusioni e preferisce credere a una bella menzogna, finché la sua incredulità non viene sconfessata; così come ha tardato ad essere compresa la difficile e concettuosa arte contemporanea, di rado immediatamente piacevole ai sensi. Da musicista, – più che a Duchamp, Kandinskij o Klee, che pure rientrano nella sua produzione teorica – Adorno si ispira alla dodecafonia di Schönberg per illustrare la sua teoria sulla «dissonanza». Un’opera – in realtà qualsiasi oggetto appagante ai sensi –, perfettamente composta in un intero, appare bella, ma smette di attrarre la nostra attenzione se le manca questa tensione. L’idea di inserire una possibilità inesplorata, come una nota dissonante, non in linea con il canonico senso di rotondità dell’opera, fa percepire al meglio quella verità che la filosofia non può mostrare, poiché usa un altro linguaggio, quello verbale; ma rischia, al tempo stesso, di far perdere il senso all’interezza della costruzione. Noi esseri umani siamo obbligati a costruire un senso a partire dalla realtà, un senso che è nostro e che nessuno deve turbare, anche se questo può significare doversi aggrappare a delle illusioni invece che vederle crollare sotto i colpi di una prospettiva rischiaratrice. Chi ci indica quella crepa dissonante, chi ci rammemora l’insistente possibilità che tutto potrebbe venir giù da un momento all’altro, sprofondando ogni cosa nel caos, viene additato come matto, come bugiardo e accompagnato da ogni tipo di improperio, perché indica una verità che non è bella, con la conseguenza logica di rovinare una splendida armonia. Un’espressione, quest’ultima, che potrebbe benissimo applicarsi al giudizio di uno dei primi indignati ascoltatori di Schönberg.

Certo, da un lato non stupisce che tra i filosofi siano proprio i critici francofortesi, tutti tesi a smascherare le contraddizioni della società, ad essere additati come uccelli del malaugurio. Al contempo, però, siamo forse autorizzati a concludere con un piccolo volo pindarico in Oriente. In Cina, il Dao è la “Via”, il concetto più sacro ai confuciani, che il lettore avrà visto rappresentato nello Yin-Yang. La goccia bianca, opposta a quella nera, rappresenta la purezza, ma possiede, al suo interno, proprio una dissonanza, un particolare che ci colpisce rispetto alla circostante perfezione: un pallino nero, che rappresenta il male. Nell’arte, come nella vita, infatti, occorre sempre tenere presente che non tutto è bene, né può tutto essere bello, che c’è una possibilità che il male si trovi nel bene (e non solo fuori di esso) e che non serve odiare chi ci indica una debolezza, ma, anzi, è necessario agire per emendarla. L’opera «autenticamente moderna» mostra ciò, così come fanno Cassandra e lo Yin-Yang. Per Adorno, il valore delle opere d’arte sta, dunque, nell’indicare il negativo e con esso una possibilità di miglioramento.


Bibliografia:

T. W. Adorno, Teoria estetica, Einaudi, Torino, 2009.

T. W. Adorno, Minima Moralia, Einaudi, Torino, 2015.


Pierfrancesco Quarta è nato il 22 Dicembre del 1995 a Fiesole, paesino di origini etrusche in provincia di Firenze, città in cui cresce e conclude gli studi classici. Dopo aver conseguito la laurea triennale in Studi letterari e filosofici all’Università di Siena con una tesi sulla concezione esperienziale del romanzo nel pensiero di Walter Benjamin, torna nuovamente a Firenze, dove è attualmente iscritto al corso di laurea magistrale in Scienze filosofiche. Appassionato di filosofia, letteratura, cinema e soprattutto di musica, ha alle spalle un passato da batterista in una band emergente fiorentina.


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