Letteratura

Trieste soffusa / “Il richiamo di Alma” di Stelio Mattioni


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Stelio Mattioni (Trieste, 9 settembre 1921 – Trieste, 16 settembre 1997) è stato un uomo dalla personalità ondivaga, inafferrabile, e anzitutto non solo – né forse principalmente – con la qualifica di scrittore volle in toto identificarsi. E come il conterraneo Italo Svevo, che fu non svincolabile termine di paragone, svolse per tanti anni lavoro impiegatizio, prima di diventare direttore d’azienda. Perciò non è un caso se, al di là dei confini della sua città, l’eco del suo nome non desti quella imprescindibile risonanza che parrebbe doversi a chi, per i suoi libri, abbia ricevuto la spesa di belle parole da parte di bocche e penne illustri, come Calvino sul «Menabò», e il triestino scopritore proprio di Svevo, Bobi Bazlen, che per la sua Adelphi ne promosse l’esordio, nel 1968, nel campo del romanzo (Il re ne comanda una, Milano, Adelphi, 1968. Una nuova edizione è stata promossa da Cliquot nel 2019). Nel 1980 venne stampata la sua più conosciuta opera, Il richiamo di Alma, che poté vantare il titolo di finalista al Premio Campiello, seppur non uscendone vincitrice dopo l’ultima selezione. Lo scorso 5 dicembre, sempre per i tipi di Cliquot, è stata pubblicata la seconda edizione del libro, nella collana “Biblioteca”, dedicata a inediti e fuori catalogo di lunga data. È allora un’interessante occasione per il recupero di questa lettura, che non sente il peso degli anni.

Il richiamo di Alma è un romanzo che immerge dall’inizio in un’atmosfera ondivaga e inafferrabile (sì, come lo stesso Mattioni), e da un trampolino di realismo e verosimiglianza, che poggia sulle minuziose descrizioni di Trieste, dai più noti punti d’interesse alle stradine secondarie, restituisce al lettore lo slancio necessario per tuffarsi in una realtà impalpabile, dai contorni labili e fumosi, precaria e instabile. Dagli occhi del protagonista, un giovane studente universitario, si osserva un passaggio, una crescita, in uscita da una tarda adolescenza, che scocca dall’incontro con Alma, ragazza (meglio: figura di ragazza) dalla sagoma onirica, che mai è dato cogliere appieno, e che attraversa tante giovinezze, tante vite e altrettante morti. La città, la Trieste di Mattioni, è una Pietra Lunare scevra di sovrastrutture liriche e sofisticatezze letterarie (e non è un caso se l’opera di Tommaso Landolfi è stata poi recuperata proprio da Adelphi), che incornicia un’avventura difficile da cogliere attraverso i cinque sensi ai quali siamo usi. Durante questo percorso di micro-formazione, tra ingombranti ma seminascoste pulsioni sessuali (il bordello, la monaca grassa, la lasciva e altrettanto misteriosa Lia) e richiami spirituali che con esse si confondono, reiterati, accolti o respinti dall’inconscio, la vita del protagonista cessa di essere in fieri, il mondo attorno si annulla, perde ogni importanza, di fronte al condensarsi di tutte queste tensioni nell’idea di Alma, novella Beatrice. A fare da sfondo, ma funzionale alla narrazione, la collocazione del ragazzo, ingombro in famiglia, e uno di troppo, che non fa differenza, anche con gli amici; la Città allora, entità viva e tangibile, sicuramente più di Alma e con lei in ossimoro, cerca costantemente di vomitarlo o di annullarlo, di confonderlo e bastonarlo. Il protagonista, in questo quadro, si fa ignaro portavoce di una gioventù che sogna, che si rintana e nasconde in un mondo altro, lontano dalla vita “vera”, perché in essa ben presto si finisce di crescere, e ci si ritrova semplicemente ad andare avanti, come egli si scopre a osservare nei suoi famigliari. Pur consapevole dell’assurdo che lo circonda, e anche dei pericoli, si lascia trasportare, si lascia comandare.

Lo scrittore tratteggia un po’ alla volta i personaggi che costituiscono questo piccolo universo, delineando lentamente un ambiente, un raggio d’azione, ricostruito in comportamenti e in palazzi, caratteri freddi e vicoli ciechi, parole misteriose e spostamenti confusi tra chiese, case semi-abbandonate e una lingua di Adriatico che abbacina e stordisce. Con una scrittura veloce, saltellante, priva di orpelli, evita elegantemente di sovraccaricare un’esperienza che contiene già di per sé una grande ricchezza: la narrazione dell’incosciente salto nell’età adulta. All’alba di un decennio in cui l’Italia, riportata drasticamente coi piedi per terra dopo gli anni del boom, tornava a sentire la necessità di rifugiarsi in un’evasione rasserenante, Stelio Mattioni componeva un romanzo fuori dal tempo (eppure, fortemente, dentro uno spazio!), consacrandosi ai vertici culturali della Trieste del secondo Novecento.

 

All’alba di un decennio in cui l’Italia tornava a sentire la necessità di rifugiarsi in un’evasione rasserenante, Stelio Mattioni componeva un romanzo fuori dal tempo

Alla figlia di Mattioni, Chiara, strenua promotrice degli inediti del padre nonché autrice del testo introduttivo nella nuova edizione del romanzo (la postfazione invece è stata scritta da Gianfranco Franchi), e alla casa editrice Cliquot, va riconosciuto allora il merito di aver restituito un palcoscenico a un autore mai davvero sotto le luci della ribalta, proprio in un periodo in cui rifugiarsi nei propri recessi, per esperirli e cercare di comprenderli, con o senza successo, come fa il protagonista de Il richiamo di Alma, torna ancora una volta a rivelarsi una pratica attuale, salvifica e confortante.


Alessandro Lucia è nato il 21 novembre 1995 a Pescara. Diplomato al Liceo Classico di Pescara, nel 2017 consegue la laurea in Lettere Moderne all’Università di Bologna, dove prosegue gli studi, ottenendo la specializzazione in Italianistica nel novembre del 2020. Ama – non potrebbe essere altrimenti – la letteratura ed anche la musica, che studia fin dall’infanzia e che lo trascina dalla tastiera di un pianoforte classico alle drum machines, ma non disdegna affatto interessi più “profani”, come il calcio e i videogames. Nel suo nebbioso futuro da umanista intravede ulteriori studi, polverosi archivi e dotte biblioteche. 


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