Letteratura

Herman Melville e la ricerca infinita


L’articolo analizza il saggio Leggere Melville di Giorgio Mariani (Carocci, 2013), focalizzato sull’opera omnia dello scrittore, per approdare poi a considerazioni più personali sulla figura di Ishmael, protagonista-narratore di Moby Dick; or, The Whale.

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Leggere Melville di Giorgio Mariani (Carocci, Roma, 2013, pp.128) offre una panoramica esaustiva sulla vicenda letteraria e personale dello scrittore newyorkese. Individuando in senso diacronico le costanti tematico-contenutistiche delle opere e riferendole alla loro ricezione critica (coeva all’autore e a lui successiva), lo studioso fa luce su una delle più eclatanti riabilitazioni postume al rango di genio di uno scrittore in vita a lungo bistrattato, sottovalutato e editorialmente ostacolato.

La modernità di questo ex avventuriero di mare, poi diventato scrittore d’avventure “oceaniche”, sta nel titanico sforzo di trasferire sulla carta l’intero sistema di conoscenze umano, discutendo (e perfino parodiando) tutte le convinzioni artistiche, filosofiche e religiose sedimentatesi nel tempo per condurle a un’unità strutturale e ad una sintesi onnicomprensiva nel testo che, seppur agognata incessantemente, alla fine rimane coscientemente, dolorosamente incompiuta. Sin dai primi romanzi, infatti, come Omoo (1947), per Mariani la storia “ondeggia” «senza un preciso obiettivo»[1] tra andamento descrittivo e tono satirico, così che le spinte narrative spesso “si incagliano” in quadri etnografici del mondo polinesiano. E di Mardi (1948) lo studioso esalta la fucina immaginativa dello scrittore, capace di creare «figure, episodi e situazioni […] senza curarsi di come i diversi prototipi elaborati possano combinarsi in un progetto generale»[2]. Anche Red-Burn (1849), viaggio in mare di un “proto-Ishmael” sopravvissuto al naufragio del suo American dream, sgretola progressivamente gli stilemi di partenza del Bildungsroman[3], senza ritrovare per questo compiutezza, ironizzando anzi sul transito irrisolto verso la maturità del protagonista[4]. Intrappolato in forse ancor più insanabili contraddizioni è White Jacket (1850), dove torna senza possibilità di sintesi un grumo di questioni ricorrenti nell’opera omnia melvilliana: l’ambivalenza del protagonista verso i nativi, così come le contraddittorie condanne allo schiavismo, alla guerra e alla violenza umana. Questo magma di influenze, questioni e temi, fluisce anche in Moby-Dick (1951)[5], che impiegando «tutti i generi e gli stili a sua disposizione»[6], come la balena che scorrazza nelle sue pagine, non si fa imbrigliare definitivamente da nessuna etichetta con cui la critica ha cercato di aggiogarlo: «opera mondo, epica moderna, romanzo epico, testo enciclopedico o anche […] testo sacro», tutte chiavi di lettura formali plausibili, ma nessuna illuminante sul senso profondo del libro. L’impossibilità di coincidentia oppositorum si ritrova, poi, nel romanzo-scandalo Pierre (1852) [7], soprattutto nella vanagloriosa aspirazione del protagonista a scrivere il romanzo della Verità contro le falsità della società, simbolicamente rimasto incompiuto.

Whalers, ca. 1845 / Joseph Mallord William Turner (MET collection OA, Public Domain)

Pure la produzione di racconti si definisce nel segno del non-finito: ad esempio, The two temples (edito solo nel 1924) e Poor Man’s pudding and rich man’s crumbs (1854) sono una «messa in scena dei punti di vista differenti e non ricomponibili in una superiore, organica visione a tutto tondo»[8]. Bartleby (1853) e Benito Cereno (1855), poi – esempi di ragged edges letterario – nel caleidoscopio di punti di vista che li strutturano, ingaggiano con il lettore un dibattito vivo e attivo di discussione sul ruolo dei personaggi e sul senso della narrazione.

Una simile tensione oppositiva dilaga anche nella lirica: in Battle pieces and aspects of the War (1866) Mariani ritraccia spinte ideologiche inconciliabili[9]: i soliti, irrisolti pregiudizi razziali e capisaldi teorici ridiscussi dalla forza corrosiva dell’ironia. Clarel (1876) è invece «un agglomerato di racconti nel racconto e di lunghi dialoghi, ma è un’opera poetica e non semplicemente narrativa»[10] che non scioglie i tormenti spirituali del protagonista, inseriti e anzi complicati in relazione a tante altre prospettive di fede quanti sono i personaggi che egli incontra nel pellegrinaggio.

Tornando alla prosa, notiamo che The Confidence-Man (1857) è «difficile da riassumere per via del gran numero di “racconti nel racconto” che lo caratterizzano, oltre che per le sue elaborate riflessioni metanarrative»[11]. Così anche nell’ultimo romanzo (simbolicamente incompiuto) Billy Budd (1924), la linearità narrativa si sfalda in tre finali che, nota Mariani, «offrono ricostruzioni parziali […] del significato della storia e dei tre personaggi principali, pur cogliendo, ciascuno a suo modo, qualche frammento della verità, spesso in modo obliquo e largamente implicito»[12]. Altro criterio espositivo del saggio è quello di relazionare le opere alla ricezione di critica e pubblico ricevuta: così se Typee (1846) e Omoo (1847) strappano subito consensi, lo studioso evidenzia l’insuccesso di Mardi (1848)[13] (poi in parte riabilitato dalla critica novecentesca), che si riverbera nell’accoglienza tiepida, se non scopertamente negativa, di Moby-Dick (1851), davanti al quale «buona parte dei contemporanei restò assai perplessa»[14]. Nel mezzo erano nati anche Red-Burn (1849) e soprattutto White Jacket (1850), in cui si lamentava la «mancanza di unità tra il tema politico-propagandistico del testo e la vicenda individuale del protagonista»[15]. Gli strali detrattori si fanno più acuminati, poi, quando il romanziere con Pierre (1852) vira provocatoriamente verso il tema d’amore incestuoso[16]. Dagli anni Venti del Novecento, però, si assiste a un “Melville Revival”, rinfocolato dall’ammirazione dei maggiori scrittori americani e europei dell’epoca, a tal punto che anche nella lirica, evidenzia il professore, lo scrittore newyorkese diventa «degno compagno delle più autorevoli voci della poesia americana dell’Ottocento: Whitman ed Emily Dickinson»[17].

Melville è uno scrittore costantemente alla ricerca di una pienezza di senso, di una Verità sapienziale e metafisica al di là delle apparenze costantemente frustrate, che assottiglia così la fiducia nella ragione umana come medium di conoscenza del cosmo. Lo stesso Ishmael può considerarsi la summa letteraria di queste tensioni. Narratore di Moby-Dick e selezionatore della realtà, è animato (o forse eroso) dallo stesso cocente desiderio di conoscenza del suo creatore: non reagisce forse allo sprofondo esistenziale in cui stava precipitando viaggiando per mare, “equipaggiato” di tutto lo scrigno di conoscenze, artistiche, mitiche, filosofiche, bibliche, marinare, geologiche, zoologiche della civiltà umana? Eppure, a posteriori è conscio dell’inadeguatezza di questi mezzi di fronte alla complessità oceanica della Natura[18]: sa, ad esempio, che la cartografia non copre tutto il mondo reale[19]; prova da se che la passione catalogatoria con cui, radunati tutti i sistemi di conoscenza della storia, si lancia nel censimento di ogni specie di cetaceo, è fallimentare[20]; sa che la bianchezza della balena cela un segreto metafisico inafferrabile che acuisce il senso di vanitas vanitatum della vita umana se correlata all’immensità imperscrutabile dell’universo[21]; sa anche che la Verità è una questione di prospettive individuali autoriferite, per cui le realtà che un semplice doblone d’oro evoca sono plurime, sfaccettate tante quanti sono gli occhi dei marinai che lo scrutano, e che la sua verità rispetto alla storia, tenendo in vita continuamente più prospettive visuali e interpretative (correlativo dell’onnipresente, relativismo policentrico melvilliano), può risultare lacunosa, ambivalente, o contraddittoria.

Melville è uno scrittore costantemente alla ricerca di una pienezza di senso, di una Verità sapienziale e metafisica al di là delle apparenze costantemente frustrate

Anche dal punto di vista etico Ishmael, come Tommo, come Typee o Mardi, è “incompleto”: non scioglie del tutto i pregiudizi verso i cannibali (come l’amico Queequeg); il rapporto con Achab, che a sua volta ha «in sé contemporaneamente i corni opposti di ogni dilemma»[22], mai affrontato direttamente, né demonizzato nella sua monomania mortifera, oscilla tra una torbida attrazione e una debole repulsione. Alla luce di ciò, evidenziando lo statuto problematico di Bildungsroman che presenta quest’opera-mondo, si sussume che la «sua personale esperienza, il nembo di terrore e morte che copre il viaggio del Peequod, non è infatti una conquista, ma un retaggio angoscioso di interrogativi»[23] morali e esistenziali mai sciolti[24]. D’altronde, non ci aveva già avvertito in quello “smantellamento ironico della scienza”[25] rappresentatao da Cetology (cap.XXXI) che «this whole book is but a draught- nay, but the draught of a draught»?[26]


[1] Giorgio Mariani, Leggere Melville, Carocci, Roma, 2013 p. 25.

[2] Ivi, p. 35.

[3] «Del resto, una contraddizione fra processo formativo del personaggio e visione a posteriori del narratore ricorre in tute le opere del primo Melville […]; mai, in esse si realizza quella “coincidenza di prospettive cui il “Bildungsroman” tradizionalmente tende» in Luca Briasco, La ricerca di Ishmael, Moby-Dick come avventura dell’interpretazione, Bulzoni, Roma, 1994, p. 35.

[4] Si veda Giorgio Mariani, Op. cit., pp. 38-43.

[5] «L’autore vuole dunque farci capire che la ricerca di cui il libro si occuperà non si svolge solo per gli immensi oceani del globo terrestre, ma ha richiesto un lavoro di scavo profondo tra i meandri delle conoscenze accumulate dal genere umano nel corso dei secoli» in Ivi, p. 53.

[6] Ivi, p. 48.

[7] «Nell’accettazione di un mondo privato della sua trasparenza e trasformato in un mondo intransitivo di segni, si chiude l’itinerario di Ishmael-artista: non quello di Melville, che all’esplorazione di tale labirinto,[…] dedicherà, negli anni successivi, tutto il suo multiforme talento» in Luca Briasco, Op. cit., p. 175.

[8] Giorgio Mariani, Op. cit., p. 82.

[9] Trasfigurando il dato storico, Melville rende la guerra tra nordisti e separatisti uno scontro tra forze infernali sostenute da Satana e forze celesti ispirate dall’Onnipotente. Così lo studioso nota che «questo paradigma miltoniano […] non solo mal si concilia con i propositi ricompositivi dell’opera nel suo insieme, ma stride con l’attenzione riservata ai combattenti nelle loro qualità di semplici esseri umani» in Ivi, p. 101.

[10] Ivi, p. 107.

[11] Ivi, p. 48.

[12] Ivi, p. 114,

[13] Ivi, pp. 28-29; anche Leornado Buonomo corrobora questa tesi: «Accolto con grande favore agli esordi, quando trasforma in racconto avvincente i suoi viaggi per mare e le sue esperienze in terre remote e esotiche, Melville viene respinto dal mercato editoriale quando si allontana dal resoconto autobiografico e di viaggio per cimentarsi con la riflessione filosofica e l’allegoria in Mardi» in L. Buonomo, Dichiarazioni di indipendenza: i grandi classici dell’Ottocento, in C. Iuli, P. Loreto (a cura di), La letteratura degli Stati Uniti: dal Rinascimento americano ai giorni nostri, Carocci, Roma, 2017, p. 38.

[14] Giorgio Mariani, Op cit., p. 51; il sodale critico E. Duyckink, che lo definì “un minestrone intellettuale” rintraccia sostanzialmente tre libri in uno nel romanzo: un romanzo di avventure centrato sulla tragica caccia alla balena; un trattato sulle pratiche di pesca marinara; un libro sulle meditazioni filosofiche del protagonista, Ishmael, che spinge costantemente la narrazione dei fatti verso un superiore livello allegorico.

[15] Giorgio Mariani, Op. cit., p. 45.

[16] Mariani documenta come i critici, inorriditi, non abbiano risparmiato stroncature inclementi sia all’opera sia al suo stesso ideatore. Si veda Giorgio Mariani, Op. cit., pp. 69-70.

[17] Ivi, p. 100.

[18] «Book! You lie there; the fact is, you book must know your places. You’ll do give us the bare word and facts, but we come in to supply the toughts» in J. Bryantm H. Springer (a cura di), Moby-Dick: A Longman Critical Edition, Longman, New York, 2009, p. 383.

[19] «Queequeg was native of Rokovoko, an Island far away to the West and South. It’s not down in any map; true places never are» in Ivi, p. 67.

[20] «But there are a rabble of uncertain, fugitive, half-fabolous whales, which as an America whaleman, I know by reputation, but not personally. I shall enumerate them by their forecastle appellations; for possibly such a list may be valuable to future investigators, who may complete what I have here but begun. […] there might be quoted other lists of uncertain whales, blessed with all manner of uncouth names. But I omit them as altogether obsolete; and can hardly help suspecting them for mere sounds, full of Leviathanism, but signifying nothing» in Ivi, p. 142.

[21] «Is it that by its indefiniteness it shadows forth the heartless voids and immensities of the universe, and thus stabs us from behind with the thought of annihilation, when beholding the white depths of the milky way? Or is it, that as in essence whiteness is not so much a color as the visible absence of color; and at the same time the concrete of all colors; is it for these reasons that there is such a dumb blankness, full of meaning, in a wide landscape of snows- a colorless, all-color of atheism from which we shrink?» in Ivi, pp. 184-185.

[22] Luca Briasco, Op . cit., p. 69.

[23] Ivi, p. 53; Lo stesso naufragio finale della nave si apre contemporaneamente a più letture, dato che «il conflitto tra interpretazioni divergenti e inconciliabili dell’ideologia che Ishmael incarnerebbe, nonché della sua funzione narrativa […] può essere riassunto emblematicamente nelle differenti letture che sono state date dell’ultima immagine di Ishmael, capace di restare a galla solo alla bara-scialuppa di Queequeg» in Giorgio Mariani, Op. cit., p. 118.

[24] Ivi, p. 68; in sintonia con questa posizione troviamo Viola Sachs, secondo cui l’essenza stessa dell’opera si annida nella ricerca continua di un senso da svelare, per cui il significato ultimo del romanzo rimane sostanzialmente avvolto nel mistero. Il testo cui mi riferisco è ovviamente V. Sachs, Le contre-Bible de Melville: Moby Dick dèchiffrè, Mouton, Parigi, 1975.

[25] Prendo in prestito una felice definizione di Luca Briasco con cui l’autore titola un paragrafo del Capitolo III: Discorso cetologico e crisi della rappresentazione della realtà in La ricerca di Ishmael; Moby Dick come avventura dell’interpretazione, cit. p. 137.

[26] J. Bryant, H. Springer (a cura di), Op. cit., p. 142.


Davide Maria Zazzini è nato il 14 aprile 1996 a Pescara. Da quattro anni studia a Roma, dove si è laureato in Lettere moderne e continua a studiare ora Filologia Moderna. Ama i Pink Floyd, i romanzi di Gabriel García Márquez e Calvino, le poesie di Montale, Gatto, Neruda, Prévert e Catullo. Ma il cinema è la sua passione maggiore: soprattutto Fellini, Bertolucci, Forman e Scorsese.


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