Critica

Il sentiero filosofico della verità nell’informazione


Per gli altri articoli di Giuseppe

Il concetto di verità nel corso della storia umana è da sempre oggetto di discussione; questa nozione, con la sua pluralità di definizioni semantiche, non può mai darsi concretamente ma è plastica, deformabile, e il suo senso, oggi più che mai, appare incerto e vulnerabile. Per molti la verità, o per correttezza intellettuale sarebbe meglio dire la ricerca della verità, pare abbia perso di valore, a favore della notizia gossippara ed emotivamente gratificante. Questo lo si deve a un nuovo approccio al reale che è stato definito post-verità. Il termine “post-verità” si afferma nel discorso pubblico solo nel 2016, quando questo vocabolo viene eletto dall’Oxford Dictionary parola dell’anno con la seguente definizione: «che riferisce o denota circostanze in cui i fatti oggettivi sono meno influenti nel formare l’opinione pubblica di quanto non lo siano appelli all’emozione e alle credenze personali». Per quanto la parola risulti nuova, il concetto è vecchio. Possiamo ricordare la “verità effettuale” di Machiavelli o, andando più indietro nel tempo, le antiche regole di retorica classica dove per poter garantire la riuscita dell’orazione bisognava affidarsi anche all’emotività dei destinatari. Nietzsche nel suo forse troppo noto aforisma afferma che: «non ci sono fatti, ma solo interpretazioni» [1], ed è proprio il filosofo tedesco che più di tutti influenzerà il pensiero del Novecento.

Il termine “post-verità” si afferma nel discorso pubblico solo nel 2016, quando questo vocabolo viene eletto dall’Oxford Dictionary parola dell’anno

Il dibattito sulla “verità”, o detta in maniera diversa: il dibattito su “cos’è la realtà e in che modo l’uomo può conoscerla”, da un punto di vista filosofico si può disgiungere in due percorsi fondamentali: la prospettiva “realista” e quella “costruttivista”. La prima sostiene che la realtà, in continuità con l’esperienza umana, è portatrice di senso, e che è quindi conoscibile, anche se il processo di approssimazione – che si avvale con precisi strumenti e metodi di analisi – è difficile e mai pienamente realizzato. Mentre la prospettiva “costruttivista” sostiene che la realtà in sé è inconoscibile poiché ne facciamo esperienza solo e sempre all’interno della nostra sensibilità. Nel corso del Novecento è proprio quest’ultima ad aver avuto maggiore fortuna nelle principali correnti filosofiche, sociologiche e persino negli studi sul giornalismo, modificando inevitabilmente il modo di pensare della società contemporanea. Seguendo l’evoluzione del pensiero è possibile comprendere il cambiamento del concetto di verità, che è sempre legato alla percezione del reale, e le conseguenti metamorfosi comportamentali dei singoli individui nella società odierna. Maurizio Ferraris [2] indica Kant come il filosofo che per primo, incentrando la propria epistemologia sul soggetto, abbia cambiato la visione che l’uomo ha della realtà. Gli altri importanti padri del nostro pensiero comune, volendo redigere una generica classifica, sono sicuramente: Nietzsche, che ha osservato come nella volontà del soggetto vi è la possibilità di plasmare e creare la realtà che è in sé insensata; Heidegger, che per primo ha provato ad abbandonare del tutto ogni retaggio della metafisica moderna. Da questa fucina di idee e riflessioni in continua evoluzione nasce il “post-moderno”, concetto elaborato da Lyotard [3] verso la fine degli anni Settanta che denuncia appunto la fine dell’antica metafisica e del programma razionalista della modernità. I pensatori degli anni Sessanta, spesso impegnati politicamente, hanno cominciato ad analizzare il mondo circostante come il frutto di meccanismi di potere – economico, politico, culturale – che si svelano nelle pratiche di vita quotidiana, nel sistema sociale, in quello legale e nel linguaggio. Michel Foucault [4], ad esempio, cerca di osservare le azioni intrinseche e spesso involontarie ma comunque mai innocenti che permeano l’esperienza umana, e come quei “dispositivi” burocratico-tecnico-istituzionali lavorino a tutti i livelli della società. In questo senso non esiste una verità di riferimento in quanto è il potere che in ogni determinata epoca storica decide cos’è normale, cosa quindi può essere detto o scritto. La verità dunque è mutevole ed è la cultura di volta in volta a crearla e cristallizzarla. Queste teorie, passando dal mondo accademico al mondo reale, hanno però prodotto un del tutto inaspettato mutamento della società civile. Il transito di tali dottrine da un ambito qualitativo – le università, le riviste, il mondo intellettuale – a uno di tipo quantitativo ha provocato col passare del tempo una banalizzazione del pensiero post-moderno, e infatti partendo dall’idea che non esiste una sola verità assoluta – un sistema di pensiero che è alla base dell’accettazione della cultura altrui e quindi dell’alterità –, si è arrivati al totale abbattimento del dialogo in nome della propria egoistica impulsività e alcuni governi e poi le fake news non hanno fatto altro che cavalcare e incentivare questa visione delle cose.

Pertanto, la post-verità, che appunto deriva dal mondo della filosofia, si frantuma nella nostra contemporaneità attraverso un’informazione che preferisce far prevalere la notizia sulla sua veridicità. Come osservato da Marconi [5], anche i grandi conflitti mondiali e gli orrori dei totalitarismi hanno sicuramente influito sul pensiero odierno, portando a considerare la verità come autoritaria e violenta, ma effettivamente è la filosofia post-moderna ad aver posto le basi teoriche per la post-verità. Questo mutato rapporto col circostante ha naturalmente influenzato anche gli studi sociologici. Un esempio ben noto può essere il concetto che grazie alla fortunata metafora di “società liquida” è ormai entrato di forza nel linguaggio, e che indica l’estremo cedimento dei legami e della struttura sociale, originato da una serie di processi come la globalizzazione, l’individualizzazione e il trionfo della società dei consumatori [6]. Utilizzando questo pensiero come base teorica, l’incessante scioglimento dei rapporti sociali diventa un processo ineluttabile – le verità sono intercambiabili a seconda dell’evenienza –, per cui l’unico atteggiamento culturale sensato è una sorta di adattamento individuale di tipo flessibile. Secondo la celebre teoria di Bauman chi si ostina a imporre dei criteri fissi, dei valori assoluti, appare come il fulgido riflesso di un passato ormai tramontato. Come osservato dallo storico culturale Burke: «dopo molti decenni in cui ha prevalso una strutturazione dura del mondo sociale e una concezione per cui le strutture sociali, culturali, linguistiche, parentali si impongono o, comunque, condizionano in modo significativo, le idee e i comportamenti degli individui, oggi presso molti studiosi – e nell’opinione comune – si è affermata una concezione che enfatizza l’esistenza di un mondo di forme socio-culturali soffici, malleabili, fluide o fragili, di cui la modernità liquida di Bauman costituisce la più efficace e nota immagine» [7]. In realtà però, come aveva già giustamente notato Leopold von Wiese, non c’è un «principio di individuazione» capace di definire completamente la nostra epoca dato che «di tutte queste connotazioni (commercializzazione, relativismo, liquefazione dei legami sociali ecc.) si possono trovare anche gli opposti. Non vi è un orientamento che superi così tanto le altre tendenze da metterle in secondo piano. Tipica del presente è perciò “l’abbondanza” di indirizzi costanti, che si affiancano e si incrociano, pretendendo di essere considerati attentamente, senza avere peraltro validità esclusiva» [8].

Secondo la celebre teoria di Bauman chi si ostina a imporre dei criteri fissi, dei valori assoluti, appare come il fulgido riflesso di un passato ormai tramontato

Come proposto da von Wiese in realtà le società si strutturano ancora oggi attraverso logiche coerenti e forti. Affermare l’inesistenza di legami stretti nella vita quotidiana è avventato. Giuseppe Galasso in un articolo scritto peri il«Corriere della Sera» chiarisce: «è diventato di rito riferirsi alla “società liquida” che contrassegnerebbe il mondo contemporaneo e a una liquefazione dei legami sociali del più vario genere per effetto dei processi di globalizzazione e del passaggio di massa da produttori a consumatori. I legami sociali sarebbero perciò quanto mai effimeri, muterebbero di continuo, terrebbero gli individui e i gruppi sociali in una perenne crisi di identità e quindi, in una condizione duratura di angoscia e di infelicità. In realtà malgrado gli indubbi meriti di Zygmunt Bauman, […], in questa società le strutture e le relazioni sociali, coi relativi rapporti di classe non sono svaniti, né sono diventati effimeri. Mantengono, invece, la loro presenza e forza, e solo si può dire che, com’è facile intendere, per alcuni versi sono diventati più dinamici, articolati ed equilibrati, per altri versi si sono irrigiditi e squilibrati» [9]. Il caos che sembra dominare la nostra quotidianità è dunque dovuto al processo di atomizzazione sociale e ideologico che la società sta vivendo. L’instaurarsi di nuove visioni del mondo – in relazione con le moderne invenzioni del XX e del XXI secolo, tra cui i social media – ha portato a una frantumazione della realtà che bisogna trovare il modo di ricompattare rispettandone però le diversità. Il compito dell’informazione è proprio quello di rendere una testimonianza, ha un valore sociale, e per saper raccontare la complessa molteplicità contemporanea è necessario possedere una capacità tecnica che purtroppo oggi non sembra richiesta. Il lavoro giornalistico allora dovrebbe, attraverso abnegazione e buona volontà, approdare alla verità partendo dalla realtà, tuttavia non basta la mera osservazione, la verità va cercata, poiché, come osservato da Maurizio Ferraris: «La realtà è qualcosa che c’è, ed esiste, indipendentemente dal fatto che ci sia qualcuno disposto ad apprezzarla. La verità è qualcosa che sappiamo e che si dice a proposito di quello che c’è. […] la verità è qualcosa che si fa» [10]. Cercando di semplificare, la verità viene solo dopo la percezione, ed è possibile raggiungerla solo se capaci di osservare la realtà attraverso la lente della tecnologia. Per quanto appunto: «la verità è relativa rispetto agli strumenti tecnici di verifica, ma assoluta rispetto alla sfera ontologica a cui fa riferimento, e all’esigenza epistemologica a cui risponde» [11]. Dunque per giungere alla verità bisogna adoperarsi, è un lavoro tecnico, quindi mutevole nel tempo, che ha però criteri definiti e imprescindibili. Il mondo dell’informazione, che se vogliamo nel discorso sulla verità è in qualche modo la variante nazional popolare, quindi in grado di plasmare le idee e i giudizi dell’opinione pubblica, ha il compito di vegliare e proteggere le nostre democrazie e lo può fare pertanto solo attraverso un lavoro attivo – verifica e incrocio delle fonti, linguaggio semplice, analisi accurata, correttezza formale ecc –, che miri alla verità tramite schemi narrativi definiti e dimostrabili.


[1] F. Nietzsche, Frammenti postumi 1885-1887, Milano, Adelphi, 1975, p. 299.

[2] M. Ferraris, Manifesto del nuovo realismo, Roma-Bari, Laterza, 2012.

[3] J. F., Lyotard, La condizione post-moderna: rapporto sul sapere, Milano, Feltrinelli, 1981.

[4] M. Foucault, Le parole e le cose, Milano, Rizzoli, 2016.

[5] D. Marconi, Per la verità, Torino, Einaudi, 2007.

[6] Z. Bauman, Modernità Liquida, Roma-Bari, Laterza, 2006.

[7] P. Burke, La storia culturale, Bologna, Il Mulino, 2009, p. 108.

[8] L- Von Wiese, Filosofia e sociologia, Napoli, Edizioni Scientifiche italiane, 2011, p. 125.

[9] G. Galasso, La società liquida categoria ingannevole, “Corriere della Sera”, 26 gennaio 2016.

[10] M. Ferraris, Postverità e altri enigmi, Bologna, il Mulino, 2017, p. 127.

[11] Ivi, p. 130.


Giuseppe Marmo, classe 1993, è cresciuto in un piccolo paese nella provincia di Salerno. A 19 anni molla tutto per trasferirsi a Bologna, dove trova il tempo di laurearsi in Lettere. Follemente innamorato della città rossa, dopo tre anni o poco più la abbandona con frasi del tipo: “non sei tu, sono io, sei troppo per me”, e altri infiniti luoghi comuni. Nel 2017 si trasferisce a Roma, dove si laurea in Editoria e scrittura e dove ha seguito un Master in Grafica Pubblicitaria, Editoriale e Web Design. Nella vita vive, ma ci sta stretto, nel tempo libero scrive, legge, guarda film, ascolta musica, scatta foto e cerca di conquistare il mondo.


Photo by Joel de Vriend on Unsplash
Photo by AbsolutVision on Unsplash