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“Uno straniero nella propria lingua. Scritti per Carmelo Bene” (a cura di G. Coccia, M. Confuorto, F. Cutillo, F. Di Mattia, I. Martano; Oèdipus, 2019), con progetto grafico di L. Doria e illustrazione di C. Plescia, è la raccolta di saggi che inaugura la collana “Beniana”, progettata dal Centro Studi Carmelo Bene per canalizzare le numerose ramificazioni artistiche e culturali del grande intellettuale salentino. Un’opera necessaria perché capace di mettere in luce in un solo libro, in alcuni casi rivolgendosi a professionisti del settore ma molte altre parlando anche a un pubblico più vasto, gli aspetti di maggior interesse critico della produzione di Bene, attraversando più di quarant’anni della carriera del salentino per mezzo degli scritti di rilevanti studiosi dell’opera beniana. Infatti, il testo è il risultato di una serie di convegni organizzati all’interno dell’ottava edizione di “Ciclomaggio”, rassegna annuale organizzata da alcuni studenti del polo umanistico dell’Università degli Studi di Siena che si prefigge l’obiettivo di rappresentare un canale di approfondimento del pensiero e delle opere di autori del XX secolo italiano, e presenta interventi di M. Capriotti, F. Vazzoler, P. Fantozzi, M. Boldrini, F. R. Oppedisano, G. Raciti, B. Roberti, A. Cappabianca, S. Giorgino, F. Alcantara, A. Petrini e P. Bertolone. Quello che emerge da questi saggi è un Carmelo Bene complesso, contraddittorio, mistico, filosofico, innovativo, “classico inattuale e quindi eternamente attuale” (come suggerisce la quarta di copertina) e mai compiutamente definibile all’interno di categorie intellettuali. Un Carmelo Bene capace di racchiudere nei confini della sua produzione artistica l’idea di teatro che fu, che è e che sarà, ma anche un Carmelo Bene che rifiuta e svuota la comunicazione, ridefinendo così il concetto di pubblico; un Carmelo Bene che si dedica assiduamente e meticolosamente all’attività letteraria, la quale risente degli stimoli culturali degli anni Sessanta, ma anche un Carmelo Bene che, negli stessi anni, concepisce i suoi soggetti teatrali più ossessionati e ossessionanti; un Carmelo Bene che sviscera il concetto di “phoné”, che fagocita e metabolizza le lezioni di Lacan, Deleuze e de Saussure, che rimane confinato nell’ospedale psichiatrico di Lecce, ma anche un Carmelo Bene raffinato attore e visionario cineasta, stregato dalle figure di Pinocchio e Amleto e pieno di riserve verso chi si occupa di criticare la sua produzione. Infine, un Carmelo Bene che si toglie spazio (fino a diventare un acronimo) per restituire alla purezza dell’essere e dell’essere in relazione la pura voce-immagine, ricavando così dall’amato Joyce un modello di stilizzazione del sé e, al contempo, realizzando la perfetta “macchina attoriale”.

Come detto in precedenza, “Uno straniero nella propria lingua. Scritti per Carmelo Bene” si rivolge sia ad un pubblico di settore, il quale si confronta con le più recenti indagini critiche riguardanti la produzione beniana, che a un pubblico più vasto, interessato ad un approccio storico, culturale e metodologico sulla stessa. È infatti possibile individuare tre direttrici per mezzo delle quali sono stati ordinati i saggi del libro: la prima è quella che inquadra e contestualizza il periodo storico e le condizioni sociali in cui esordisce nei vari ambiti artistici Bene, la seconda racchiude gli interventi intenzionati a ricostruire e definire alcuni famosi nodi teorici della produzione del drammaturgo salentino, la terza è la direttrice che mira ad analizzare in maniera approfondita singole opere beniane. Tale impostazione e organizzazione, quindi, permette la conoscenza dell’autore secondo diverse prospettive di interesse e, al contempo, fornisce al lettore un valido e serio strumento per approcciarsi a uno degli intellettuali più controversi del Novecento, ma di cui Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia e Dacia Maraini riconobbero subito l’originalità.
È infatti possibile individuare tre direttrici per mezzo delle quali sono stati ordinati i saggi del libro: la prima è quella che inquadra e contestualizza il periodo storico e le condizioni sociali in cui esordisce nei vari ambiti artistici Bene, la seconda racchiude gli interventi intenzionati a ricostruire e definire alcuni famosi nodi teorici della produzione del drammaturgo salentino, la terza è la direttrice che mira ad analizzare in maniera approfondita singole opere beniane.
Per quanto tutta la raccolta contenga brillanti interventi, particolarmente pregevoli sono i saggi di Capriotti, Oppedisano, Raciti e Cappabianca, capaci inoltre di offrire un buon esempio dei criteri organizzativi del libro. Con l’intervento di Capriotti, di prospettiva storico-sociale, si evidenzia il particolare rapporto di Bene con il pubblico a partire dagli anni Sessanta, quando esso veniva estromesso dagli eventi in scena, fino agli anni Settanta, periodo in cui si definisce l’idea di “spettatore estetico”, il quale accetta l’opera d’arte per come viene proposta dall’artista e rivoluziona così il rapporto tra spettatore e attore. Oppedisano ricostruisce l’evoluzione del concetto di “macchina attoriale” attraverso un’accurata indagine della biblioteca e dei materiali inediti dell’Archivio “Carmelo Bene” e corredando l’intervento con una riflessione sull’importanza dell’attrezzatura tecnica utilizzata dagli anni Settanta in poi dall’attore salentino. Raciti propone uno studio sul concetto di “phoné”, prima soffermandosi sulle pratiche per plasmare l’oralità corporea e, in seguito, osservando il ruolo della voce all’interno del cinema beniano. Per concludere, Cappabianca evidenzia il percorso di Bene, mediante un confronto con l’attore statunitense Buster Keaton, dall’idea di attore come “corpo senza voce” verso quello di attore come “pura voce”, evoluzione possibile scardinando i pilastri della comunicazione letteraria. A chiudere la raccolta di saggi, un intervento di Bertolone sulla mostra “Il corpo della voce. Carmelo Bene, Cathy Berberian, Demetrio Stratos”, tenutasi al Palazzo delle Esposizioni di Roma dal 9 aprile al 30 giugno 2019, volto ad evidenziare le difficoltà nello storicizzare l’intellettuale pugliese a causa del particolare rapporto con le sue opere d’arte. “Uno straniero nella propria lingua. Scritti su Carmelo Bene” offre innumerevoli ragioni per le quali l’attore salentino è sempre più insistentemente al centro della riflessione critica cinematografica, teatrale e letteraria odierna. Di fatto, Bene ha cercato di abolire la comunicazione e lo spettacolo nella stessa società della comunicazione e dello spettacolo in cui operava: citando Capriotti, “vi ha introiettato l’assurdità manifesta di una spettacolarizzazione dell’abolizione del sociale stesso”. Nel fare questo, si è mostrato in tutto il suo egocentrismo, in tutta la sua l’arroganza da genio incompreso e in tutta la sua antipatia , scagliandosi spesso contro la critica e contro il cinema stesso, ma forse è proprio in tale atteggiamento anticonformista che germogliano gli interessi più sinceri della società contemporanea verso l’opera beniana, una società troppo spesso soffocata dai rigidi schemi del vivere civile ma troppo pavida per evadere dalla cella delle convenzioni. La lezione di Carmelo Bene, la volontà di rottura che conduce al momento rivoluzionario della presa di coscienza dell’unicità dell’Io, la strada da percorrere per individuarsi e riconoscersi, oggi si rivela necessaria più che mai: una volta in apnea nel mare profondo del nichilismo e della banalità, è attraverso Bene che possiamo godere di una boccata d’aria.
Yuri Sassetti è nato il 15 gennaio 1995 a Siena. Una volta conseguito il titolo di laurea triennale in Studi letterari e filosofici all’Università degli Studi di Siena con una tesi sulle figurazioni del vampiro nella letteratura gotica inglese, decide di proseguire il percorso di formazione nella città dove è nato iscrivendosi a Lettere moderne ma specializzandosi nelle letterature straniere. Ama leggere e scrivere poesie, suona la chitarra in una band e trova interessante il cinema impegnato. Attualmente sta pensando alla raccolta e pubblicazione di una serie di saggi di critica letteraria.