Critica Letteratura

Calvino e l’eros: il libro del corpo (parte I)


Per gli altri articoli di Davide

Se nomen omen, in quello di Ludmilla Vipiteno, coprotagonista di Se una notte d’inverno un viaggiatore, troviamo già la sintesi della sua personalità e del suo ruolo all’interno della storia. Il nome ha sviluppato varianti in gran parte delle lingue dell’arco mediterraneo, e benché non si possa abbandonare l’ipotesi di radici germaniche, l’etimologia più convincente porta al ceppo slavo: lyud sta per “popolo” e mil per “grazia”: “grazia del popolo”. Nel romanzo proprio la grazia, la leggerezza, «la semplicità disinvolta nel vivere»[1] sono ciò che più conquistano il Lettore, trovando un correlativo simbolico in un’immagine particolarmente cara allo scrittore sanremese: una farfalla bianca che vola sul libro che la donna legge sdraiata in uno chalet, simbolo di qualcosa «di preciso, di raccolto, di leggero»[2]. La farfalla si identifica con l’attività stessa della lettura e diventa il corrispettivo visivo proprio di quella Leggerezza cercata dallo scrittore per tutta la carriera, come Calvino ammette nella prima delle Lezioni americane:

Dopo quarant’anni che scrivo fiction, dopo aver esplorato varie strade e compiuto esperimenti diversi, è venuta l’ora che io cerchi una definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città[3].

Ma Ludmilla non è solo incantevole levità, è anche forza e dominio di sé, intelligenza e desiderio, carica erotica ed energia. È questa compresenza che inesorabilmente conquista il Lettore: la sua vitalità, infatti, si esalta per contrasto all’apparente debolezza e all’imbarazzo del complemento maschile. Lei sa sempre cosa leggere, scarta i libri che non la affascinano mantenendo sempre uno spirito critico. Così è costantemente ripagata dall’autore che le cuce su misura i romanzi: le varie storie che si dipanano nel libro, infatti, confermano la bontà delle sue ipotesi narrative e realizzano i suoi desideri estetici. Eppure, se scorriamo all’indietro le figure femminili di Calvino, questa ambivalenza tra leggerezza e forza decisionista che conquista il personaggio maschile è presente anche in Pamela, deus ex machina della ricongiunzione del Visconte dimezzato, come in Viola, l’unica che riesce a imbrigliare il Barone, sfuggito alla pesantezza della gravità terrestre, nel viluppo ramificato del suo amore. E molti de Gli amori difficili cos’altro sono, in estrema sintesi, se non il racconto di un uomo tormentato che non riesce a fare a meno di un complemento femminile? Per brevità non saranno ripercorsi altri esempi affini nelle storie calviniane, ma è chiaro già così che egli abbia sempre grande interesse nelle reazioni innescate dai rapporti tra personaggi femminili e maschili, e se ne serva per ridisegnare e continuamente “correggere”, per un certo verso, le possibilità etiche e i ruoli concessi al genere femminile in una struttura sociale vetero-patriarcale ormai al tramonto. Quello che si può senz’altro notare è un continuo scambio e travasamento fino al rovesciamento di caratteristiche (estetiche e morali) maschili che vengono assegnate al mondo femminile, sfruttate ai fini di abbassamento parodico delle leggi che le generano. Così diventano anche strumento di celebrazione della parità etica e della dignità della donna in una società in trasformazione. Lungi da me imporre, però, una lettura militante e femminista della narrativa calviniana che, oltre a risultare tendenziosa e protesa verso un unico sbocco ideologico oscurerebbe imperdonabilmente infiniti altri percorsi tematici: se è limitante, certo, parlare di Calvino scrittore “femminista” (anche perché dovrebbero essere forzatamente nascoste molte figure femminili “negative”), forse non è inesatto riconoscerne la volontà di assegnare un ruolo di assoluto rilievo alle donne nelle sue storie. Si pensi alla già ricordata Viola de Il barone rampante o a Il cavaliere inesistente in cui Bradamante, in ossequio ai più fulgidi esempi di eroine della letteratura occidentale, da donna guerriera non solo ha il coraggio di indossare la corazza, ma anche di assumersi la responsabilità della narrazione, rivelandosi nella finctio letteraria del capitolo finale come Suora-narratrice, identificandosi con il suo autore[4]. Nella narrativa dello scrittore ligure, infatti, il processo di definizione dell’identità della donna avviene sempre attraverso i codici estetici del corpo. Le eroine si coprono di abiti e divise tradizionalmente maschili, camuffando la loro vera identità, per svuotare di senso quegli stessi segni sociali che espongono, e quando non li indossano, preferendo abiti femminili, spesso finiscono per smontarne il retaggio di oppressione morale che si portano dietro. Le donne per affermarsi nella loro identità sessuata e/o caratteriale devono necessariamente togliersi di dosso tutta la pesantezza di queste maschere: se ne Il cavaliere inesistente la liberazione rimane a metà (Bradamante si spoglia della corazza, ma finisce per indossare l’abito monacale), in altre storie la nudità non solo è consentita più liberamente, ma diventa uno strumento cosciente di emancipazione e libertà dalle ragnatele sociali. Ne L’avventura di una bagnante la seminudità genera ancora profonda vergogna e imbarazzo, certo, e gli uomini impietositi, alla fine sono decisivi nel nasconderla, ma già ne L’avventura di un lettore la donna decide di spogliarsi e usare il corpo come strumento di seduzione verso l’uomo. Così Palomar-Calvino, seppur un po’ imbarazzato, nel suo ultimo sguardo su un seno nudo, «saluta con favore questo cambiamento nei costumi» e andando incontro alla bagnante, si rende conto che «è questo incoraggiamento disinteressato che egli vorrebbe riuscire ad esprimere nel suo sguardo»[5].

Ma “la battaglia” per la dignità auto-determinativa di genere mediante il corpo ha uno snodo cruciale in Se una notte d’inverno un viaggiatore. Anche qui una donna si spoglia di mille travestimenti, delle sue “corazze multiple” (tutte divise che non a caso rimandano a ruoli militaristi, mascolini e oppressivi) per rivendicare con fierezza la sua vera identità in un mondo in cui i confini tra vero e falso si sono dissolti. Il corpo ormai non causa più vergogna, ma, come manifestazione del desiderio sessuale, è esposto coscientemente per veicolare una ribellione morale: nel capitolo nono Sheila-Alfonsina-Corinna-Ingrid, denudatasi davanti al Lettore, può finalmente gridare:

Il corpo è uniforme! Il corpo è milizia armata! Il corpo è azione violenta! Il corpo è rivendicazione di potere! Il corpo è in guerra! Il corpo si afferma come soggetto! Il corpo è un fine e non un mezzo! Il corpo significa! Comunica! Grida! Contesta! Sovverte![6]

Ma in Se una notte d’inverno un viaggiatore la dignità femminile assume ancor più rilievo perché non limitata solo al piano fisico, ma anche (e soprattutto) a quello intellettuale e morale incarnata da un personaggio preciso. Non a caso Ludmilla, sorella di Lotaria, sfugge sempre da una rappresentazione diretta della sua nudità anche durante il rapporto sessuale, perché lei, che pure emana sempre dal corpo una carica ammaliante, è anche caratterialmente forte, decisionista, concreta, spigliata, profondamente intelligente e sempre padrona di se. Così, almeno fino al guizzo finale, il protagonista maschile, che vive in uno stato di affannosa incertezza, deve regredire per farle spazio e mantenere la speranza di unione. Perdendo sicurezze dal primo momento in cui la vede, le sue azioni diventano sempre più condizionate ai “percorsi obbligati” della donna, per cui più che diventare passivo, viene “passivizzato” dal suo potere malioso: tutti gli spostamenti, i viaggi, gli incontri del Lettore sono sì alla ricerca del libro interrotto, ma assumono senso solo se condivisi con una donna. Una simile affabulazione da parte dell’amata la subisce anche il protagonista di Sotto il sole giaguaro: qui Olivia è brillante e ammaliante proprio come Ludmilla, e per lunghi tratti tiene il personaggio-narratore «in una posizione subalterna, come d’una presenza necessaria sì ma sottomessa»[7]. Nel Viaggiatore i personaggi principali sono due. Calvino, infatti, in risposta al critico Angelo Guglielmi che aveva recensito il “romanzo”, spiega che il protagonista:

Si scinde in un Lettore e in una Lettrice. Al primo non ho dato una caratterizzazione […]. La seconda è una lettrice di vocazione […] sublimazione della lettrice media ma ben fiera del suo ruolo sociale di lettrice per passione disinteressata[8].

E poco oltre aggiunge: «Quello di Ludmilla, è un ruolo sociale in cui credo, e che è il presupposto del mio lavoro». Non stupisce, pertanto, che prima del Viaggiatore, Calvino si era impegnato con altri intellettuali (Gianni Celati e Giudo Neri) per creare una rivista che si rivolgesse ad un pubblico più ampio possibile per diffondere l’amore per i libri. Il progetto, pur giovandosi dell’apporto successivo di Carlo Ginzburg e Enzo Melandri, non vedrà mai la luce, eppure non è azzardato vedere ne Il Viaggiatore la sublimazione e il compimento letterario di questa tensione divulgativa. Il risultato non è una rivista per lettori, ma a un vero e proprio “iper-romanzo” che li mette al centro della scena, li rende protagonisti della trama, creando una storia che non a caso da Alberto Asor Rosa è intesa tra le altre cose come «un saggio sul rapporto tra lettura e letteratura»[9], dunque un riconoscimento e una celebrazione accalorata del lettore comune, che, anche senza strumenti critici rigorosi, riesce ad amare i libri e a farsi avvolgere dal loro senso di rapimento, leggendo le storie senza strumentalizzarle per trovarvi altri sottosignificati (come fa sbagliando Lotaria, da studente universitaria). D’altronde in Perché leggere i classici Calvino mostra tutto il fastidio per «un capovolgimento di valori molto diffuso per cui l’introduzione, l’apparato critico, la bibliografia vengono usati come una cortina fumogena per nascondere quel che il testo ha da dire e che può dire solo se lo si lascia parlare senza intermediari che pretendano di saperne più di lui»[10]. Per questo ammonirà che «non si leggono i classici per dovere o per rispetto, ma solo per amore. […] E’ solo nelle letture disinteressate che può accadere d’imbatterti nellibro che diventa il “tuo” libro». E sempre nella risposta a Guglielmi, poco dopo quella che è un’autentica dichiarazione di poetica e una professione di fede sul ruolo sociologico del libro, completa il concetto così:

Nel Viaggiatore ho voluto rappresentare (e allegorizzare) il coinvolgimento del lettore (del lettore comune) e […] non ho fatto che esplicitare quello che è stato il mio intento cosciente e costante in tutti i miei libri precedenti[11].

L’ammirazione si palesa principalmente in due modi: valorizzando nella cornice il desiderio di lettura dei lettori, fruitori ideali delle sue opere, suoi primi committenti, e dedicando tutti i romanzi interni ad esaudirne le preferenze. I quali (eccezion fatta per quello iniziale, Se una notte d’inverno un viaggiatore, che è comunque gradito a tal punto da innescare la ricerca del continuo) si allineano tutti alla volontà di lettura della Lettrice: lei ha il privilegio speciale di evocarli e prefigurarli ancor prima di poterli leggere. Il Lettore, perciò, è costretto ad accettare “gli ordini” della donna e a inseguire i romanzi interrotti. Il risultato è che «ogni romanzo risulterà dall’incontro del titolo con l’attesa della Lettrice, quale è stata formulata da lei nel corso del capitolo precedente».

Soprattutto per questa lucida, inscalfibile fiducia nella vocazione narrativa dello scrittore, che invece sembra abbandonare il Lettore, la giovane si conquista immediatamente la stima dell’autore. Pur nella complessità labirintica del reale in cui il testo si sfilaccia e si disperde negli angoli più reconditi del mondo, in una realtà in cui la brama di potere dei potenti ha allungato i tentacoli perfino sui libri, macchiandoli e travisandoli con deformazioni e falsità, pur avendo conosciuto di persona il fautore di questo sabotaggio sistematico, pur avendo di fronte a sé esempi diversi di uso del libro (una sorella che lo piega alla critica ideologica, un amico che ne fa opere d’arte), pur non riuscendo a finirne uno, Ludmilla continua fiduciosamente ad aspettare una storia con un inizio e una fine. Non stupisce, pertanto, che per Calvino «l’immagine positiva, sia nella cornice che in ognuno dei dieci romanzi, è una donna, […] è sempre oggetto del desiderio. La lettrice è il vero personaggio del mio libro: forse nella civiltà futura saranno le donne che potranno costruire un mondo di valori»[12]. A Ludmilla, compimento narrativo di una rivista per lettori rimasta incompiuta, spetta la scelta dei libri da leggere e da scartare, e perfino la possibilità di eliminare le cointraintes della sua vita: nell’ottavo capitolo con la sua spigliatezza non solo mantiene la distanza ontologica tra sé e il suo scrittore preferito, ma si arroga anche il potere di cambiare il “meta-intreccio” voluto dall’autore-personaggio; respingendo Flannery, che vorrebbe scrivere esattamente ciò che lei legge e “scriverle” anche il corpo, rimbalza la sua volontà di fusione tra vita e racconto, così come rimbalza quella del falsario Ermes Marana, dal quale si tiene lontana, colui che deforma continuamente gli intrecci delle storie che l’autore scrive per creare una letteratura di apocrifi e falsi.

Se in letteratura «le cose scritte derivano da altre cose scritte e servono alle cose che verranno dette poi»[13], chissà se tra le associazioni mentali cui si accenna nella risposta a Guglielmi si possa scovare anche il poema amatissimo che si «rifiuta di cominciare, e si rifiuta di finire»[14]; la storia che si distende nello spazio della discontinuità policentrica, e che, pur tenendo le fila di labirinti di storie diverse, privilegia gli inseguimenti di un eroe maschile devirilizzato e parodiato che rincorre una donna bellissima, la quale lo anticipa nella storia entrandoci di slancio a cavallo e se ne va via prima della conclusione. Nella personalità di Ludmilla, allora, si potrebbero vedere in filigrana la bellezza irresistibile e la forza seducente di Angelica, la principessa che nell’Orlando Furioso di Ariosto spregia tutti i pretendenti, compreso il più illustre tra loro, Orlando. E si può rintracciare anche lo stesso equilibrio tra grazia ed energia, lo stesso senso di insoddisfazione perpetua, lo stesso moto “zigzagante” nello spazio, la stessa coscienza del potere attrattivo della propria bellezza e della gelosia che suscita negli ammiratori (i paladini nel poema ariostesco, Marana e il Lettore nel Viaggiatore). Il tutto inserito in una situazione romanzesca analoga che approfondisce il rapporto tra un personaggio femminile, malioso e sfuggente, e uno maschile, costretto alla sua affannosa rincorsa in uno spazio policentrico. Una simile struttura, a ben vedere, c’è già ne Il barone rampante in cui Viola, che come Angelica è nobile di natali e bellissima, si diverte a tenere sulle spine i suoi pretendenti, e separandosi da Cosimo causa al Barone di Rondò la stessa follia distruttrice di cui è vittima il paladino di Carlo Magno. La loro storia rimarrà dolorosamente inconclusa, come è inconclusa quella del Furioso, ma solo dalla prospettiva di Orlando, che, a differenza di Cosimo, amerà senza fortuna.

Ludmilla, più di ogni altro personaggio, celebra il nobile desiderio di scoprire storie, la fiducia incrollabile nel mondo dei libri, la fede nella letteratura come principio conoscitivo ed etico irrinunciabile. L’autore, che le ha lasciato decidere i romanzi, le lascia anche la responsabilità di pianificare l’intreccio amoroso: Ludmilla sceglie il libro da leggere e decide anche tempi e modi e luoghi del romanzo da vivere, definendo spazi di relazione (l’università, il caffè, la casa) e di distanza (la casa editrice e lo stesso caffè). Inoltre, sceglie autonomamente anche il tempo della sua presenza, spesso improvviso e intermittente: rifiuta il caffè prima dell’incontro con il professore (perché rifiuta tutti gli incontri non giustificati dai libri); all’università si palesa solo quando il coinvolgimento del Lettore nel romanzo è totale; evita di andare alla casa editrice per non perdere quel rapporto privilegiato e immediato col libro che si comprometterebbe conoscendo il luogo di creazione di quell’incantesimo; abbandona il Lettore al caffè reduce dalla casa editrice, perché ha in mente un nuovo incontro a casa (unico luogo d’intimità possibile nel caos del mondo), dove si fa maliziosamente attendere; da qui lascia che il Lettore, poi, si perda nel mondo alla ricerca del romanzo interrotto, anticipandolo nella casa dello scrittore e ritrovandolo nel letto matrimoniale. È Ludmilla, almeno fino al penultimo capitolo, il centro generativo della cornice e la forza creatrice dei romanzi. È il fuoco indomabile del suo desiderio il motore propellente della narrazione e la scia luminosa che irradia e si riverbera in ogni storia.

Ma sarebbe sbagliato affrettarsi a considerare Il viaggiatore il trionfo dei desideri e delle scelte di Ludmilla. Calvino, che è sempre un formidabile saggista di sé e degli altri, qualche anno dopo rimisura il libro e cambia lievemente la prospettiva d’analisi affermando esplicitamente che «protagonista è il Lettore»[15]. Un indizio non trascurabile soprattutto se si fa riferimento allo scorcio finale dell’opera in cui, appreso che «il senso ultimo a cui rimandano tutti i racconti ha due facce: la continuità della vita, l’inevitabilità della morte»[16], il Lettore decide di sposare la donna. E l’autore premia senza indugi questo scatto “inaspettato”, consentendo le nozze e adagiando i due coniugi su un letto matrimoniale. La rincorsa affannosa del libro e dell’amata, che lo ha portato ad errare in luoghi lontanissimi, si conclude quando il Lettore riconosce che i due livelli della letteratura e della realtà sono diramazioni dello stesso piano, l’una figlia dell’altra. Viene “premiata” la sua attesa fiduciosa, la sua speranza nel futuro, complicata ma mai scalfita nel tempo, di completezza, sia letteraria che sentimentale. Da qui si origina la sua ostinazione a riunire: ripercorso dentro una biblioteca (come in una libreria era iniziata la storia interrotta) il romanzo inconcluso e riconosciute le sue cointrantes, ha la lucidità di sovrapporle alla realtà per completare il libro interrotto dell’esistenza, il cui senso si identifica immediatamente con l’amore: la sua, sin dall’incontro con Ludmilla, non è mai una lettura per sé stessa e di sé stessa, ma per la (e della) vita. Per la prima volta un suo scatto, una sua decisione e non della Lettrice agisce sull’intreccio e ne scolpisce il finale. Ludmilla, che entra in anticipo nel romanzo e con le sue decisioni brucia sul tempo il compagno, qui è anticipata dal Lettore. E non c’è più titubanza, esitazione o disagio, ma una decisione presa “fulmineamente” che attua quel desiderio di lettura, prima solo della donna, di «andare incontro a qualcosa che sta per essere e nessuno sa cosa sarà»[17].

Così il Lettore, seguendo un percorso evolutivo costante, è il personaggio che vive più evoluzioni che gli consentono di rompere la distanza ontologica tra sé e il narrato e diventare “scrittore” della sua vita: ci viene presentato come un semplice lettore passivo, ma il non-finito del libro innesca la sua azione, lo rende investigatore che cerca da se l’unità del libro e l’unità amorosa. In tal modo si conquista sempre più il ruolo di protagonista agente della storia, fino a diventare nel finale, faber della sua vita e lettore del libro interrotto. È lui il Viaggiatore della cornice. Ludmilla, invece, asserragliata nel suo lucido cinismo, è un personaggio statico, monodimensionale, senza trasformazioni. La ricerca esistenziale del Lettore concretizza l’auspicio di Joseph Conrad (scrittore amatissimo da Calvino e autentico pilastro della sua formazione) sulla creazione letteraria: «Si scrive soltanto una metà del libro, dell’altra metà si deve occupare il lettore»[18]. Di conseguenza, non solo la storia d’amore si compie, gli amanti diventano marito e moglie e si uniscono nello stesso letto, ma la lettura supera lo scoglio dell’arresto improvviso e il Lettore, che nel capitolo iniziale stava «per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino»[19], ora ha il privilegio di poterlo finire perché ha saputo completare il romanzo da leggere con quello da vivere. La Lettrice, dal canto suo, continua coerentemente a fare ciò che ha fatto per tutta la storia: se il Lettore rappresenta la tensione a ricostruire, riallacciare, unificare frammenti di identità, di storie e di vita che si sfilaccino continuamente, Ludmilla continua imperterrita a separare, a distinguere, a dividere. La sua vita dal libro, la casa editrice dal libro, l’autore dal libro, la lettura della sorella dalla sua, gli ammiratori da sé. Il suo personaggio non sembra evolvere: anche da moglie continua a leggere per il gusto di leggere come faceva all’inizio. Nella pagina scritta non si proietta, non sa annullare la distanza ontologica tra esistenza e letteratura per cui un’entità esterna a lei deve trasformarla in sostanza di vita. Calvino, infatti, nei suoi appunti spiega l’ultimo capitolo così: «La Lettrice spegne la luce perché la vita continui fuori dalla lettura e la lettura sia lettura»[20].

Solo nel finale, infatti, la decisione del Lettore si impone sulla lettrice, la cui luce si spegne prima, la stanchezza interrompe la continuità della storia, ma lui può continuare a leggere, capitalizzando i suoi sforzi di ricerca e finire Se una notte d’inverno un viaggiatore. In questo modo un “romanzo” che sembra costantemente farsi e disfarsi senza mai soddisfare i suoi lettori, nel finale trova una formula conchiusa e una struttura perfettamente geometrica di ispirazione letteraria. Lo schema classico della fiaba tradizionale, tenuto costantemente presente nella cornice e riprodotto nella conclusione, prevede infatti che solo dopo una serie di peripezie e prove ci siano nel finale le nozze tra eroe ed eroina.


[1] I. Calvino Se una notte d’inverno un viaggiatore, Mondadori, Milano, 1994, p. 164.

[2] Ivi, p. 201.

[3] I. Calvino, Lezioni Americane: sei proposte per il terzo millennio, Mondadori, Milano, 2012, p. 7.

[4] «A un certo punto era solo questo ad interessarmi, la mia storia diventava soltanto la storia della penna d’oca della monaca […]. Mi accorgevo intanto […] la penna d’oca, la mia stilografica, io stesso, tutti eravamo la stessa persona, la stessa cosa, la stessa ansia, lo stesso insoddisfatto cercare». I. Calvino, Nota a I nostri antenati, Mondadori, Milano, 2003, p. 421.

[5] I. Calvino, Il seno nudo, in Palomar, Mondadori, Milano, 2016, pag. 12.

[6] I. Calvino Se una notte d’inverno un viaggiatore, op. cit., pag. 257.

[7] I. Calvino, Sotto il sole Giaguaro, Garzanti, Milano, 1986, p. 90.

[8] I. Calvino, Se una notte d’inverno un narratore, in alfabeta, dicembre 1979, n. 8, dalla presentazione a Se una notte d’inverno un viaggiatore, Mondadori, Milano, 1994, p. X.

[9] A. Asor Rosa, Natura e struttura in Id., Stile Calvino, Einaudi, Torino, 2001, p.145.

[10] I. Calvino Perché leggere i classici, in Perché leggere i classici, Mondadori, Milano, 1991, p. 8, tratto dall’articolo Italiani vi esorto a leggere i classici, uscito su L’espresso il 28 giugno 1981, pp. 58-68.

[11] alfabeta, op. cit., p. X.

[12] Ho voluto narrare la mistificazione del mio tempo, intervista di Giorgio Fanti su Se una notte d’inverno un viaggiatore, in Paese sera, 19 giugno 1979, p. 3.

[13] Assunto conclusivo di risposta a un’inchiesta di Romano Bilenchi e Sergio Surchi sul tema Il romanzo e l’uomo di oggi, comparsa su “La nazione”, 24 giugno 1966.

[14] I. Calvino La struttura dell’Orlando, in Perché leggere i classici, Mondadori, Milano, 2017 p. 69. Il testo deriva da un intervento radiofonico andato in onda il 5 gennaio 1975.

[15] I. Calvino, Il libro, i libri, in «Nuovi quaderni italiani», Buenos Aires, 1984, p. 19.

[16] I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, op. cit., p. 304.

[17] Ivi, p. 83.

[18] J. Conrad, Lettera a Robert Bontine Cunninghame Graham, 1897, in Epistolario; scelta, introduzione, traduzione e note di Alessandro Serpieri, Bompiani, Milano, 1966.

[19] I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, op. cit., p. 3.

[20] B. Falcetto, Se una notte d’inverno un viaggiatore, nelle «Note e notizie dei testi» di Italo Calvino, Romanzi e racconti, alle pp. 1397-1400, riporta fra le carte di Calvino, con data “aprile 1979”, «uno schema concettuale del mio libro (stabilito dopo aver scritto il libro)» che offre una diversa lettura della cornice.


Davide Maria Zazzini è nato il 14 aprile 1996 a Pescara. Da quattro anni studia a Roma, dove si è laureato in Lettere moderne e continua a studiare ora Filologia Moderna. Ama i Pink Floyd, i romanzi di Gabriel García Márquez e Calvino, le poesie di Montale, Gatto, Neruda, Prévert e Catullo. Ma il cinema è la sua passione maggiore: soprattutto Fellini, Bertolucci, Forman e Scorsese.