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Conoscere l’arte di impressionare l’immaginazione delle folle, vuol dire conoscere l’arte di governarle. (Gustave Le Bon, Psicologia delle folle, 1895)
2.000.000 anni fa sulla terra vivevano 6 specie diverse di umani, tutte configurabili nel genere Homo. 13.000 anni fa rimase sulla Terra solamente una specie: l’Homo Sapiens, noi. I nostri progenitori riuscirono nel gravoso intento di sterminare tutto ciò che poteva minare il loro sviluppo e la loro evoluzione, dalle altre specie di ominidi ai grandi animali che regnavano al tempo. E ciò fu possibile non in virtù della forza fisica, dal momento che un Neanderthal, se avesse potuto incontrare un Sapiens, lo avrebbe annientato con facilità, ma grazie alla nascita del pensiero astratto, capace di elaborare leggende e miti; in questo modo il Sapiens poté organizzare gruppi di individui in contatto tra di loro, agenti in nome di una guida esterna, che poteva essere un “Capo” o un “Dio”. Nacque così una macchina da guerra difficile da contrastare, la quale permise poi alla specie Sapiens di comandare la Terra. Questa è la tesi di fondo di Sapiens. Da animali a dei, breve storia dell’umanità di Yuval Noah Harari, storico e saggista israeliano, divenuto celebre per la trilogia “Sapiens”, focalizzata sulla storia dell’umanità. Ci appropriamo di questo assunto storico-critico per applicarlo al fenomeno contemporaneo dell’omologazione di massa, sviluppatosi ed affermatosi in epoca moderna grazie alla radio, alla televisione, a internet ed oggi giunto al suo zenit a causa dell’operato omnicomprensivo e instancabile degli Influencer e degli Youtuber: come 13.000 anni fa i Sapiens riuscirono a plasmare il pensiero e di conseguenza le azioni connesse al pensiero, così fanno oggi queste odierne “guide” con i loro followers. È chiaro quanto sia allora altamente necessario introdurre oggi una netta distinzione tra opinione pubblica e opinione di massa: la prima riguarda ormai un’élite circoscritta di cittadini consapevoli del loro status civile, dotati di coscienza critica e partecipi in maniera costruttiva del dibattito sociale e politico; la seconda comprende un numero illimitato di individui la cui unica caratteristica (allo stesso tempo singolare e collettiva) è la quantità. Queste persone si nutrono di suggestioni, demagogia, pulsioni irrazionali, veicolate costantemente dai mass-media, vecchi e nuovi, e l’avvento degli influencer, i cui pseudocontenuti sono ormai accessibili a tutti, ha solamente alimentato una tendenza comportamentale in atto da molti anni.
È chiaro quanto sia altamente necessario introdurre oggi una netta distinzione tra opinione pubblica e opinione di massa
Il trionfo della televisione nel secondo Novecento ha trasformato definitivamente il cittadino in utente e l’Homo Sapiens in Homo Videns. Nella sfera della tv il prodotto di massa viene creato in massa e per la massa, dando il via alla produzione di sole copie di un originale che non esiste più. «Ogni pubblicità è un appello alla distruzione»[1], poiché ci chiede puntualmente di buttare via e dimenticare gli oggetti che già possediamo per rinnovarli, anche se non sono esauriti. Come succede spesso, i grandi romanzi riescono a raccontare la realtà e le profonde trasformazioni che la coinvolgono meglio di qualsiasi altri mezzo. Per questo è utile citare ora il romanzo capolavoro dello scrittore, critico e saggista Walter Siti, Troppi paradisi, pubblicato nel 2006. Un’autobiografia “contraffatta”, un romanzo sulla possibilità di provare un amore disperato e dissennato. Il gossip, i pettegolezzi mondani e lo sfondo socio-televisivo presenti nel romanzo rientrano perfettamente negli standard scenografici a cui il lettore odierno è abituato, in un contesto mediatico in cui i reality-show hanno saturato l’immaginario collettivo del nostro intero paese. Fin dalla prima pagina Walter Siti si auto-dichiara un campione di mediocrità, dotato di reazioni standard, la cui diversità è di massa[2], destinato però ad acquisire, nel corso dello sviluppo romanzesco, una consapevolezza dell’amore e del sacrificio così forte da divenirne un portatore sano, garantendosi al contempo un anticorpo necessario presso la sua cerchia, il tutto entro un’atmosfera ironica e disillusa, mescolata rapsodicamente ad una certa malinconia soffusa. Sergio, il compagno del Walter del romanzo, è ben inserito all’interno della Rai, così il nostro ha modo di frequentare quel mondo e di restituirci narrativamente l’intera gamma di contraddizioni e frivolezze che lo contraddistinguono. Quella descritta è allora una realtà ambigua, resa tale dalla televisione, “specchio deformante” per eccellenza. Ci viene raccontata la sfera di pertinenza dei talk- show, in cui viene chiesto ai protagonisti d’incarnare quei picchi di realtà esacerbata e quelle tipologie umane che il pubblico brama di vedere, e a cui viene suggerito (da registi e collaboratori televisivi tanto più bravi quanto più consapevoli di ciò che la massa pretende) quale sentimento provare, o meglio fingere, in un certo preciso momento:
La realtà mostrata in tivù deve essere accettabile: dunque è bene tenerla sotto controllo, aggiustarla prima che la telecamera la riprenda. La realtà televisiva è strutturata come una fiction, ma senza avere la libertà della fiction, che è soprattutto quella di rappresentare l’estremo. Il cinema è realizzazione onirica. La tivù è onirizzazione (cioè addormentamento) del reale. La gente ospitata, anche se vera, è comunque «gente da televisione», già predisposta dentro e fuori ad essere televisionabile.[3]
I veri protagonisti di questo mondo sono giovani super-palestrati e depilati, esibiti in tv come sciupafemmine e maschi alfa, ma che Siti descrive invece, secondo una prospettiva interpretativa inversa, come schiavi poco virili che si prostituiscono, omologando, tra l’altro, la loro ostentata esuberanza fisica ad uno standard condiviso e condivisibile, impostato ad hoc per soddisfare le preferenze dei loro clienti-utenti. Siti denuncia, anche se ne è perversamente attratto (Marcello è l’esempio lampante del palestrato, del borgataro 2.0), tale ideale di bellezza omologante, poiché ormai, dice, non ha più importanza se questi corpi sono veri o sono risultati artificiali di asfissiante palestra, anabolizzanti, chirurgia e chissà cos’altro (uomini-oggetto): «Se l’Occidente ha instaurato un’estetizzazione di massa, questo vuol dire che il consumismo occidentale si fonda su una perversione di massa»[4]. Un altro romanzo paradigmatico della letteratura postmoderna che è opportuno citare per completare questa breve riflessione è Gli Anni di Annie Ernaux, uscito nel 2008 in Francia: un romanzo autobiografico in cui l’autrice intreccia la sua storia personale con quella collettiva, elaborando una profonda e illuminante rappresentazione del nostro mondo, partendo dal secondo dopoguerra fino ad arrivare ai giorni nostri. Uno dei passaggi più significativi dell’opera è incentrato sull’introduzione delle pubblicità-progresso e sul potere sempre più plasmante e configurante che sta assumendo la televisione, capace di eliminare definitivamente il gusto del pudore e della timidezza e di omologare persino la sfera social-emotiva, impostando un canone di comportamento conformistico che, marginalizzando tabù secolari, muta alla radice le modalità di interrelazione amorosa:
La domenica le spiagge erano gremite di corpi in bikini, offerti al sole nell’indifferenza generale. Restare vestiti sulla battigia o entrare in acqua per bagnarsi soltanto i piedi sollevandosi la gonna erano cose che si facevano sempre di meno. Dei timidi e di chi non accondiscendeva all’allegria diffusa si diceva, “ha dei complessi”. Era l’inizio della “società del divertimento”.[5]
Come succede spesso, i grandi romanzi riescono a raccontare la realtà e le profonde trasformazioni che la coinvolgono meglio di qualsiasi altri mezzo
Per venire alla situazione odierna, è bene snocciolare qualche dato: secondo un rapporto Censis del 2015 il 96.7% degli italiani s’informa solamente attraverso la televisione e se si decide ad utilizzare internet, il 43,7% lo fa attraverso Facebook, (la percentuale dei giovani sale sino a toccare il 71,3%). Non a caso oggi i nuovi media, con il loro esteso e variegato arsenale di “demagoghi” e “tuttologi”, sono fondamentali nella creazione del consenso e dell’opinione di massa. Nelle società occidentali contemporanee la quotidianità è caratterizzata dal dominio della comunicazione massmediale e da un flusso costante e inesauribile di informazioni e input sensoriali, che spesso illudono le persone di partecipare attivamente alla vita della società, al suo farsi giornaliero, producendo un bagaglio contraddittorio, frammentario ed eterogeneo di pseudoconoscenze, la cui interiorizzazione è troppo rapida, passiva e superficiale per essere davvero elaborata in maniera consapevole. Se da un lato e è anacronistico sostenere forzatamente l’equivalenza spesso tirata in ballo da passatisti e nostalgici per cui evoluzione/tecnologizzazione=degrado e decadenza, dall’altro è altresì innegabile che gli aspetti negativi crescono attualmente con più rapidità rispetto alla controparte positiva, soprattutto per quanto riguarda il mondo digitale, dominato da monopoli ultramiliardari come Facebook, Instagram, YouTube, Twitter e via dicendo. Su questi socialnetwork, adoperati sempre più come canali tramite cui costruire una determinata visione del globo, spesso strumentalizzata, faziosa, menzognera, viene attuato un metodo di persuasione e manipolazione non molto diverso dalla propaganda fatta durante la Grande Guerra per favorire l’impegno bellico, coinvolgere civili e tenere alto il morale delle truppe. Come fece trapelare Chamath Palihapitiya, manager al servizio del colosso di Zuckenberg, nel 2017, dopo essersi licenziato, Facebook si nutre della vulnerabilità delle persone, «il pollice in su funge da dopamina», fino a far confondere la popolarità con la realtà, come già scriveva Siti in Troppi paradisi. Un altro astuto escamotage di queste piattaforme online è l’algoritmo di raccomandazione, meccanismo per cui, dopo aver visto determinati video, la piattaforma calcola gli interessi potenziali dell’utente, facendo apparire poi sullo schermo o nei video correlati quello maggiormente affine ai suoi interessi pregresse, creando la famosa Echo chamber, uno “spazio” immaginario in cui le opinioni e le convinzioni dell’utente vengono amplificate ed estremizzate dalla ripetizione di materiale simile e similmente strutturato, all’interno di un circolo vizioso di chiusura e riproposizione, con la conseguenza probabile di estremizzare una determinata opinione, rendendola impermeabile dunque ad una qualsivoglia prospettiva differente, opposta, recidendo alla base la possibilità di elaborare una dialettica costruttiva. Consegniamo volontariamente noi stessi ad una rete che invece di allargare le prospettive e arricchire le esperienze tende a ridurre lo spettro di conoscenze, assecondando una dinamica per cui, mediante l’efficacia matematica dell’algoritmo, gli utenti vengono posti sotto la lente d’ingrandimento (non più metaforica) di un Grande Fratello, espressione che oggi nell’immaginario collettivo evoca tristemente la celebre casa del reality show piuttosto che 1984, il capolavoro di George Orwell. Il macro-risultato di questo fenomeno ipermoderno è una nuova massificazione della società, in cui gli individui si riconoscono e si legittimano a vicenda solo se appartenenti ad una stessa comunità, i cui valori, pensieri, preferenze, comportamenti, si sostanziano a loro volta in virtù di una costante (quasi aprioristica) negazione dell’altro. Le opinioni sono come merci ormai, aspettiamo che ci vengano confezionate e spedite a casa, accettandole per valide alla pari di qualunque altro prodotto in commercio.[6]
[1] G. Anders, L’uomo è antiquato. Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza rivoluzione industriale, Bollati Boringhieri, Torino, 2006, pag. 34.
[2] W. Siti, Troppi paradisi, BUR, Milano, 2015, pag. 11.
[3] Ivi, pag. 108.
[4] Ivi, pag. 147.
[5] A. Ernaux, Gli Anni, L’orma editore, Roma, 2015, pag. 73.
[6] G. Anders, op. cit. pag. 6, pag. 245.
Alessandro Ligioni è nato nel giugno del 1995. Ha conseguito la laurea triennale in Lettere Moderne all’Università di Siena ed è in procinto di terminare nello stesso ateneo il percorso magistrale in Letterature Straniere. Gli piace scrivere articoli, riflessioni ed è molto interessato ad analizzare le dinamiche sociali odierne. Ama la letteratura italiana, il calcio e la campagna.
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