Filosofia

Da dove nascono i meme? / Richard Dawkins e l’evoluzione culturale


Per gli altri articoli di Niccolò

Se dovessimo identificare una caratteristica saliente dei nostri tempi, sarebbe assai difficile non menzionare il fenomeno dei cosiddetti “meme”, ovvero immagini e video tali da essere creati e riprodotti innumerevoli volte e con infinite variazioni, spesso usati su internet per finalità prevalentemente comiche (anche se, citando Freud: «scherzando si può dire tutto, anche la verità»). Ma da dove nasce questo fenomeno? E soprattutto che cos’è esattamente un “meme”? Esistevano anche prima dell’avvento di internet? Se sì, in quali forme? Queste e altre mille domande sono pienamente legittime e in questo articolo proveremo a dare almeno un abbozzo di risposta.

Molti storici si sono sforzati di trovare degli antecedenti del fenomeno di meme internettiano: c’è chi ha voluto trarre esempio da bassorilievi antichi, chi dall’arte medioevale. Questi esempi, che pertengono sempre all’orizzonte dell’arte figurativa, per un motivo o per un altro mancano di alcune caratteristiche del meme come viene oggi concepito. Due esempi storici molto rilevanti sono rappresentati da una vignetta apparsa nel 1919 sulla rivista dell’Università del Wisconsin “The Octopus” e da un famoso graffito statunitense realizzato durante la Seconda Guerra Mondiale intitolato “Kolroy was here”. Tutti questi esempi risultano però precedenti alla prima formulazione del concetto, introdotta originariamente dall’etologo inglese Richard Dawkins nel suo lavoro di esordio del 1976 “Il Gene Egoista”.

Fonte: Wikimedia commons (This image was originally posted to Flickr by LR_DC at https://www.flickr.com/photos/44801240@N00/273935981. It was reviewed on 15 February 2008 by FlickreviewR and was confirmed to be licensed under the terms of the cc-by-2.0.)

Dawkins, pur essendo noto al grande pubblico in particolare per la sua aspra battaglia contro tutte le religioni ed essendo diventato esponente di una forma marcata di ateismo, in realtà nella maggior parte della sua carriera ha svolto il ruolo di etologo, ovvero studioso dei comportamenti degli animali, e di biologo, con un particolare interesse per i meccanismi interni e il dibattito storico in merito all’evoluzione. “Il Gene Egoista” è stata la sua prima opera pubblicata e sebbene siano passati oltre 40 anni, molte delle tesi ivi esposte continuano a suscitare interesse e dibattito. In quest’opera l’autore si propone di analizzare il funzionamento dei processi evolutivi partendo da una prospettiva darwinista basata sulla selezione naturale, alla quale viene sommato il ruolo chiave della genetica. Questa riflessione che oggi potrebbe sembrarci scontata, per non dire banale, non era però possibile per Darwin, in quanto il primo ad effettuare degli studi sul funzionamento dei geni fu il monaco ceco Georg Mendel, di cui il naturalista inglese non conobbe mai l’opera. A proposito di questa vicenda Dawkins racconta un aneddoto interessante in un altro suo libro, “Il più grande spettacolo della terra”: quello secondo cui se Charles Darwin, il padre della teoria dell’evoluzione, e Georg Mendel, precursore della moderna genetica, si fossero incontrati o fossero anche solo venuti l’uno a conoscenza delle ricerche dell’altro, l’intera storia degli studi sull’evoluzione sarebbe stata diversa. Darwin infatti nelle sue opere principali “L’origine delle specie” e “L’origine dell’uomo” osservava le caratteristiche esteriori degli esseri viventi (quello che oggi chiameremmo “fenotipo”), ignorando non solo il funzionamento, ma anche l’esistenza stessa dei geni. Parallelamente il monaco ceco stava compiendo i suoi celebri esperimenti sulle piante di piselli nel monastero di Brno, ponendo una pietra miliare per la futura genetica. Purtroppo, afferma Dawkins, i due studiosi non si sono mai incontrati e anche la leggenda secondo la quale Darwin sarebbe entrato in possesso di una copia della rivista sulla quale Mendel aveva pubblicato le proprie teorie non ci dà prova che lo studioso inglese ne potesse apprendere il contenuto, date le sue scarse conoscenze di lingua tedesca.

A proposito di questa vicenda Dawkins racconta un aneddoto interessante in un altro suo libro, “Il più grande spettacolo della terra”: quello secondo cui se Charles Darwin, il padre della teoria dell’evoluzione, e Georg Mendel, precursore della moderna genetica, si fossero incontrati o fossero anche solo venuti l’uno a conoscenza delle ricerche dell’altro, l’intera storia degli studi sull’evoluzione sarebbe stata diversa

Le teorie di Darwin trovarono immediatamente la fama e furono sostenute e avversate da centinaia di studiosi in tutto il mondo subito dopo la pubblicazione de “L’origine delle specie”, mentre il lavoro di Mendel rimase nell’ombra fino ad essere riscoperto nei primi decenni del Novecento. La corrente di evoluzionisti che seppe coniugare la teoria della selezione naturale di Darwin con gli studi di Mendel è solitamente nota con il termine “The New Synthesis”, e Dawkins è stato uno dei suoi esponenti. L’originalità nel testo di Dawkins risiede in due teorie che hanno incontrato nel tempo molto successo: la prima è quella del cosiddetto “egoismo del gene”, ovvero il fatto che i veri soggetti protagonisti dell’evoluzione non siano gli individui o le specie come invece sosteneva Darwin, ma siano invece i geni ivi contenuti, i quali orientano le scelte degli esseri viventi ai fini di riprodurre se stessi il più possibile. La seconda teoria, su cui mi vorrei concentrare, è quella relativa ai meme. Dawkins sottolinea come i geni siano le minime unità autoreplicantesi presenti in biologia e come essi siano il motore stesso della nostra evoluzione biologica, ma arriva a domandarsi se sia possibile concepire altre forme di replicatori analoghe ai geni. Qui per la prima volta, nel capitolo XI del libro “il Gene Egosta”, viene introdotto il concetto di meme: «Ma è necessario andare su mondi distanti per trovare altre specie di replicatori e quindi altri tipi di evoluzione? Io credo che un nuovo tipo di replicatore sia emerso di recente proprio su questo pianeta. Ce l’abbiamo davanti, ancora nella sua infanzia, ancora goffamente alla deriva nel suo brodo primordiale ma già soggetto a mutamenti evolutivi a un ritmo tale da lasciare il vecchio gene indietro senza fiato. Il nuovo brodo è quello della natura umana. Ora dobbiamo dare un nome al nuovo replicatore, un nome che dia l’idea di un’unità di trasmissione culturale o un’unità di imitazione. “Mimeme” deriva da una radice greca che sarebbe adatta, ma io preferirei un bisillabo dal suono affine a “gene”: spero perciò che i miei amici classicisti mi perdoneranno se abbrevio mimeme in meme. Se li può consolare, lo si potrebbe considerare correlato a “memoria” o alla parola francese même».

L’originalità nel testo di Dawkins risiede in due teorie che hanno incontrato nel tempo molto successo: la prima è quella del cosiddetto “egoismo del gene”, ovvero il fatto che i veri soggetti protagonisti dell’evoluzione non siano gli individui o le specie come invece sosteneva Darwin, ma siano invece i geni ivi contenuti, i quali orientano le scelte degli esseri viventi ai fini di riprodurre se stessi il più possibile. La seconda teoria è quella relativa ai meme

Con il termine “meme” l’autore intende la minima unità culturale auto-propagantesi, analoga ai geni in biologia, dotata delle stesse caratteristiche fondamentalidi questi ultimi: longevità, fecondità e fedeltà alla replicazione. Esempi di meme sono per Dawkins: «melodie, idee, frasi, mode, modi di modellare vasi o costruire archi», ovvero tutto ciò che costituisce un elemento culturale. L’idea suggestiva di creare entità minime analoghe sia nella biologia che nella cultura deriva da una singolare centralizzazione del genere umano nella ricerca evolutiva operata dall’autore. Ciò che distingue noi uomini dagli altri esseri viventi infatti, dice Dawkins, è la cultura, con tutto l’insieme delle conoscenze e delle competenze che essa comporta. Nel libro viene citato l’esempio di alcuni uccelli capaci di comunicare tra di loro messaggi standard attraverso il canto, ma non è altro che un pallido esempio di ciò che ha saputo fare il genere umano. La capacità di comunicare messaggi complessi con i nostri simili e di saperli tramandare ha permesso uno sviluppo della specie umana che altrimenti non sarebbe stato possibile. Ciò che maggiormente differenzia (ma al contempo accomuna) il meme con il gene è la caratteristica della fedeltà di replicazione. Nel processo biologico ciò che porta all’evoluzione è l’incorrere in una mutazione genetica, evento raro e non sempre positivo, ma che genera diversità e novità e deriva da un processo di errore di replicazione. Nell’orizzonte culturale questo fenomeno è estremamente accentuato poiché nel processo di divulgazione e apprendimento di un’informazione, ci sarà sempre una rielaborazione da parte del soggetto che apprende, quindi la copia non sarà mai fedele all’originale al 100%. Come nella mutazione genetica, il fenomeno non è sempre positivo, si può incorrere ad esempio in fraintendimenti, ma l’essenza dell’idea trasmessa nella maggior parte dei casi non viene fuorviata e la reinterpretazione critica può generare anche una versione rinnovata dell’originale. È ciò che avviene nell’evoluzione culturale.

L’idea suggestiva di creare entità minime analoghe sia nella biologia che nella cultura deriva da una singolare centralizzazione del genere umano nella ricerca evolutiva operata dall’autore. Ciò che distingue noi uomini dagli altri esseri viventi infatti, dice Dawkins, è la cultura, con tutto l’insieme delle conoscenze e delle competenze che essa comporta

Tra i possibili antecedenti del concetto di meme dawkinsiano, è possibile riscontrare un’analogia con l’opera dell’antropologo francese Claude Lévi-Strauss, il quale è autore del concetto di “mitema” (calcato linguisticamente su quello di fonema), il quale serve ad indicare ciascuno dei nuclei narrativi che si possono evidenziare all’interno della narrazione mitica. La struttura del mito – come avviene per i fonemi in rapporto agli enunciati di una lingua – risulta dalla combinazione di più mitemi, a loro volta permutabili per dare luogo a nuove o diverse versioni. Il mitema potrebbe essere identificato come una forma particolare di meme, in quanto esso è longevo, fecondo e replicabile e conserva una forte potenzialità di mutazione. Non ci sono tracce di una possibile ispirazione di Dawkins al lavoro di Lévi-Strauss, ma questo evidenzia un interesse comune e una metodologia affine tra l’orizzonte antropologico strutturalista francese e quello biologico empirista di scuola inglese. Il concetto di meme è stato molto dibattuto in quanto la descrizione posta da Dawkins nel suo libro non è particolarmente stringente. Tuttora c’è divisione in merito al valore da attribuire alla memetica nel dibattito scientifico, ma possiamo comunque sottolineare che l’evoluzione culturale dei memi è, secondo Dawkins, in tutto e per tutto analoga all’evoluzione biologica: l’egoismo è un fattore preponderante sia nei memi sia nei geni, un fattore che privilegia non tanto l’interesse degli individui, quanto la facoltà di replicazione e diffusione delle unità culturali. Esistono memi che hanno avuto enorme successo nella storia dell’evoluzione culturale, tanto da diventare base di culti o filosofie largamente diffuse nelle società umane. Tuttavia si potrebbe anche sostenere che la cultura e la biologia non procedano in maniera concorde, in quanto la velocità di sviluppo tra le due è radicalmente differente e, inoltre, se guardiamo più da vicino la storia umana, la cultura ci ha portato spesso ad andare contro dei principi d’interesse biologico. Si potrebbe vedere il meme anche sotto un aspetto infettivo, capace di contagiare un gran numero d’individui contro il proprio interesse. La resistenza a questo genere di memi, che potremmo definire anche “idee malsane”, è stata predicata anche dal filosofo della scienza Karl R. Popper nel suo libro “Congetture e confutazioni” del 1969: «l’intelligenza è utile per la sopravvivenza se ci permette di estinguere una cattiva idea prima che una cattiva idea estingua noi».

Tuttora c’è divisione in merito al valore da attribuire alla memetica nel dibattito scientifico, ma possiamo comunque sottolineare che l’evoluzione culturale dei memi è, secondo Dawkins, in tutto e per tutto analoga all’evoluzione biologica: l’egoismo è un fattore preponderante sia nei memi sia nei geni, un fattore che privilegia non tanto l’interesse degli individui, quanto la facoltà di replicazione e diffusione delle unità culturali

Tra le cosiddette “idee malsane” Dawkins annovera anche una delle più fortunate proposte filosofiche della storia del pensiero occidentale, ovvero il cosiddetto “essenzialismo” platonico. La concezione secondo cui le cose non sarebbero altro che pallide imitazioni di idee perfette che abitano un mondo diverso di cui però condividono l’essenza, non solo sarebbe profondamente errata di per sé. Ma sarebbe anche una delle ragioni per cui una teoria come l’evoluzione ha necessitato di tanto tempo per essere enunciata ed incontra ancora oggi così tanti oppositori. D’altronde per capire la profonda influenza che il pensiero di Platone ha rivestito nella cultura umana a seguire basta pensare all’iconica frase del filosofo inglese Alfred North Whitehead, tratta del libro “Il processo e la realtà” del 1929: «Tutta la storia della filosofia occidentale non è che una serie di note a margine su Platone».

La concezione secondo cui le cose non sarebbero altro che pallide imitazioni di idee perfette che abitano un mondo diverso di cui però condividono l’essenza, non solo sarebbe profondamente errata di per sé. Ma sarebbe anche una delle ragioni per cui una teoria come l’evoluzione ha necessitato di tanto tempo per essere enunciata ed incontra ancora oggi così tanti oppositori

Il concetto di meme come dicevamo è stato ampiamente dibattuto e impiegato. In particolare è stato utilizzato anche dal filosofo americano Daniel Dennett nei suoi libri “L’idea pericolosa di Darwin” e “La mente e le menti”, anche se è giusto precisare che lui non utilizza il termine “memi”, bensì quello di “strumenti culturali”. Ciononostante, il significato sotteso a questi termini rimane pressoché identico ed ha una particolarità: soltanto gli esseri umani, appartenenti al gruppo che Dennett chiama “creature gregoriane”, ovvero gli esseri che abitano la sommità della “Torre della generazione e della verifica”, sono in grado di utilizzare questi strumenti e questo ha costituito il loro primato sulle altre specie viventi.

In conclusione di questo articolo vorrei segnalare un principio metodologico suggerito proprio da Dennett: molto spesso il maggiore contributo al mondo della filosofia è stato dato da dei non filosofi. Basti pensare ad esempi quali Isaac Newton, Sigmund Freud, Albert Einstein e Alan Turing. Anche Dawkins, pur non essendo un filosofo nel senso stretto del termine, ha saputo dare un contributo alla riflessione filosofica che da quasi mezzo secolo non smette di accompagnarci e di costituire materia di riflessione. Questo per evidenziare che ad oggi l’interdisciplinarità e la riflessione collettiva tra i vari campi del sapere deve diventare imprescindibile, poiché unendo i mezzi intellettuali è possibile ampliare i nostri orizzonti molto più che rinchiudendosi nelle proprie strette cerchie del sapere. Inoltre, per chi d’altro canto dovesse pensare che la filosofia debba essere abbandonata in favore di altre discipline, credo che una buona risposta sul suo ruolo ce la possa fornire sempre lo stesso Dennett nella sua introduzione al libro “La mente e le menti”: «Io sono un filosofo, non uno scienziato, e noi filosofi siamo più bravi a fare domande che a dare risposte».

Ad oggi l’interdisciplinarità e la riflessione collettiva tra i vari campi del sapere deve diventare imprescindibile, poiché unendo i mezzi intellettuali è possibile ampliare i nostri orizzonti molto più che rinchiudendosi nelle proprie strette cerchie del sapere

La filosofia quindi non deve essere abbandonata in quanto obsoleta o inadatta, ma ne deve essere rivisto il ruolo. Essa deve essere utilizzata, grazie alla sua struttura basata sulla dialettica, al fine di porre le giuste domande per regolare ed interpretare al meglio quanto le nuove scoperte ci dicono e per guidarci sul sentiero migliore per la ricerca futura. Dunque a cosa può servire la filosofia oggi? La mia risposta è la stessa di Dennett: a porre le domande giuste.


Nicolò Guelfi è nato ad Arezzo il 27 giugno del 1995. Cresciuto in Valtiberina, si è laureato in Studi letterari e filosofici presso l’Università di Siena con una tesi sulla filosofia della mente e della biologia, incentrata sulle teorie di Richard Dawkins e Daniel Dennett. Questo interesse lo ha spinto a proseguire gli studi a Torino, dove ad oggi frequenta il corso di laurea magistrale in Filosofia. Ama molto la musica, il vermouth, le menti straordinarie e i soprabiti lunghi. È un aspirante batterista (da circa dieci anni) e cura una rubrica musical sul sito “Koinervetti.com”, dal titolo “Auditorium”.


Immagine: Vignetta satirica apparsa nel 1919 sulla rivista degli studenti dell’Università del Wisconsin “The Octopus” (Fonte: pagina Facebook “Una pillola di storia antica al giorno”)