Per gli altri articoli di Yuri
L’ultima raccolta poetica di Jenny Xie, Eye Level (Graywolf Press, 2018), è la fulgida dimostrazione di come la poesia contemporanea americana conservi ancora quella ricchissima capacità retorica del trascendentalismo ottocentesco, benché rivisitato dall’imagismo poundiano, e, nonostante questo, stenti ad emergere nel mercato europeo. Insignito del Walt Whitman Award 2017, il secondo libro della Xie è intriso di quella sensibilità poetica geminante direttamente dalle arti visuali, così reattive al richiamo del doppio e del “vedere vedersi” di valeryana memoria. Non a caso, il titolo Eye Level è composto da due palindromi, figura retorica dal forte valore simbolico che, proprio per la sua etimologia greca, racchiude in sé il tema del percorso (δρóμος), del viaggio, naturalmente strutturante in questa poetessa di origini cinesi ma immigrata in New Jersey. Ma il palindromo Eye del titolo ha un significato non meno importante e, probabilmente, più immediato: l’impossibilità di essere riprodotto oralmente, a causa di una pronuncia che lo rende molto più simile al pronome I (palindromo anch’esso per sua natura). Per questo, nell’opera, ricorre frequentemente l’indicibilità della lingua, che porta l’autrice a scavare dentro di essa per riscoprire anche se stessa, in un voyage dans l’intérieur che non può esimerci dal ricordare i percorsi poetici di Zanzotto o Eliot (“long sentence for which there are no words”). Le intriganti simmetrie delle parole che compongono il titolo funzionano come marcatori di una certa attenzione per la scrittura poetica dell’autrice, dove nessun elemento è posizionato casualmente ma tutto è partecipe di uno schema molto più complesso, il quale permette di far emergere l’universalità da ogni dettaglio locale (“The clean square cells of this city / contain so many faces. / Each brightened by a fear / which makes them commonplace”). Il viaggio che ci racconta Eye Level, il modo in cui le poesie sono connesse tra loro, rivela certamente una puntigliosa meticolosità della Xie per l’architettura testuale ma, elemento ancor più interessante, mostra soprattutto come a rendere sostanziali quei luoghi siano i ricordi dei posti visitati in precedenza, anche a costo di scomodare l’infanzia (“I’ve grown lean from only eating the past”). Quando l’io lirico si trova in Hanoi, Phnom Penh o altre città asiatiche, la prima cosa che percepisce è l’intimo caos che soggiace a quelle realtà e, per reazione naturale, si chiude in un malinconico isolamento volontario da cui emerge soltanto rievocando frammenti del passato (“Each day mostly like any other. / The way you loved me, a cracked wind in the road / hurrying me along”). Tutto questo si verifica a causa del disagio dell’essere “eye level” con un’altra persona, del fissare negli occhi quell’essere umano che riconosci unheimlich perché rappresenta un Altro che porta il tuo Io riflesso nei suoi occhi (“My screen faces my face”). Essere “eye level” significa, fondamentalmente, perdere ogni possibilità di solipsismo, dal momento che il dialogo con se stessi viene intermediato e si passa dall’essere spettatore al divenire spettacolo, dall’immaginare all’essere immaginato. Non sarà solo per motivi estetici, quindi, se l’epigrafe della raccolta recita i versi scritti da Machado in Proverbios y Cantares (Campos de Castilla, 1912): “el ojo che ves no es / ojo porque tù lo veas; es ojo porque te ve”. È prominente la presenza di Valéry in questa raccolta, come si può intuire, ma non bisognerà disdegnare interpretazioni psicanalitiche lacaniane e freudiane per gran parte dei testi.
Nell’opera ricorre frequentemente l’indicibilità della lingua, che porta l’autrice a scavare dentro di essa per riscoprire anche se stessa, in un voyage dans l’intérieur che non può esimerci dal ricordare i percorsi poetici di Zanzotto o Eliot
Un altro tema che serpeggia tra le poesie è, come detto precedentemente, l’indicibilità della lingua o, meglio, quel senso di disagio che si prova nell’apprendere che ogni cultura ha dei limiti linguistici suoi propri che sono difficilmente conciliabili con quelli di altre culture, costringendo quindi l’io a scavare nelle profonde residenze psichiche del linguaggio (“His tongue shorn, father confuses / snacks for snakes, kitchen for chicken”). Anche in questo caso, spesso, il tema emerge da un evento quotidiano che, con procedimento eliotiano, si rivela epifania di un sentimento universale. Nella poesia Phnom Pehn Diptych: Dry Season è l’innocente richiesta del ristoratore asiatico di controllare le traduzioni inglesi delle portate sul menu a far scatenare nell’io lirico il disagio dei limiti linguistici, dell’incapacità di poter rappresentare tutta la realtà e i molteplici significati e significanti che la dominano (“I translate what little I can; it’s embarrasing”). In Eye Level il viaggio è il trait d’union di tutte le poesie, però esso appare sempre mediato dal filtro dell’inconscio (“Between Hanoi and Sapa there are clean slabs of rice fields / and no two brick houses in a row. / I mean, no three. / See, counting’s hard in half-sleep, and the rain pulls a sheet / over the sugar palms and their untroubled leaves”). Le città visitate dall’io lirico sembrano stare tutte nel medesimo luogo geografico, come una cartina in cui esse sono disposte a pochi centimetri di distanza, e ciò crea un effetto d’irrealtà nel lettore perché si tratta di scenari distanti migliaia di chilometri e profondamente diversi tra loro. Il tempo urbano è sfasato, lo spostamento con i mezzi è riconoscibile saltuariamente, le metropoli si mostrano tutte ugualmente incomprensibili all’io lirico, ma il sentimento di un passaggio ci viene ugualmente concesso dall’accumulo di ricordi e da raffinate costruzioni stilistiche. Proprio su queste ultime merita soffermarsi, dal momento che la Xie afferma chiaramente “The present tense gets close, but doesn’t enter me” in No Animal (sublime il sarcasmo nel recitarlo al presente) ma tutta la raccolta è intrisa di present simple che, quando usati per trasportare il lettore nel passato, creano immediatezza narrativa (“It is 1992”; “silence travels from West to East”; “I stay behind”; “The years are slow to pass”; ecc.). Aiuta a fare da collante a questo passato che si mescola senza soluzione di continuità col presente il tema del folklore che, spesso, trova realizzazione nell’ammonizione superstiziosa; nell’immediato asseribile alle voci ancestrali degli antenati morti che infestano la raccolta (“Sleeping on your back will flatten your head’s shape”) ma, successivamente, ambiguamente condivisa dall’io lirico stesso, in un sofisticato gioco di specchi che difficilmente ci permette di misurare il grado di irrazionalità di questi dettami e, paradossalmente, ci spinge a credere ad ognuno di essi per il tono retoricamente solenne con il quale vengono pronunciati (“If you stay long enough, / the heat’s fingers will touch everything / and the imprint will sting”). Anche in questo caso, la Xie ci guida attraverso gli impervi sentieri dell’inconscio, illuminandoci la via con una candela sempre sul punto di spegnersi ma incredibilmente tenace nella sua resistenza. Lo stile dell’autrice di Eye Level, evidenziando le forze e le sfumature che dominano la realtà per mezzo di metafore (“In the bed of pixel”), anafore (“the train tonight is calling and calling”) e prosopopee (“The screens plant bulbs / of tension invar, but hit no nerves”), nonché intrappolando il rumore del mondo con frequenti allitterazioni (“It can think itself and think itself into existence”; “the size of a date pit from a distance”; ecc.) e assonanze/consonanze (“sheet/seat”; “arrive/size”; “each/feast”; ecc.), ci mostra lo scheletro che sorregge quella nuova realtà i cui colori sono ormai intorbiditi dagli occhi dell’interiorità (“The new country is illfitting, lined / with cheap polyester, soiled at the sleeves”) e si dimostra ancor più raffinato rispetto alla precedente raccolta Nowhere to arrive (Northwestern University Press, 2017), segno evidente di come la penna di Jenny Xie sia in spasmodica ricerca di un modo per catturare ogni frammento di vita.
Yuri Sassetti è nato il 15 gennaio 1995 a Siena. Una volta conseguito il titolo di laurea triennale in Studi letterari e filosofici all’Università degli Studi di Siena con una tesi sulle figurazioni del vampiro nella letteratura gotica inglese, decide di proseguire il percorso di formazione nella città dove è nato iscrivendosi a Lettere moderne ma specializzandosi nelle letterature straniere. Ama leggere e scrivere poesie, suona la chitarra in una band e trova interessante il cinema impegnato. Attualmente sta pensando alla raccolta e pubblicazione di una serie di saggi di critica letteraria.
Photo by Hans Eiskonen on Unsplash