Letteratura

Con gli occhi chiusi /2


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La narrazione della relazione che si sviluppa in seguito tra Ghisola e Pietro sarebbe l’inizio di una tragedia se l’ultimo periodo del romanzo non terminasse così: «quando si riebbe (…) egli non l’amava più». Rappresentazione dell’inevitabile eredità paterna che ha plasmato nel più profondo la mente del protagonista: l’incapacità di vedere. Tozzi riesce a fotografare in maniera concreta l’isolamento interno creato dalla circolarità di una logica distorta, di una dialettica interna al pensiero stesso. È la rappresentazione dell’illusione di sentire l’esterno quando in realtà tutto ciò che sta venendo vissuto è originato nell’irrealtà di un quadro; un quadro che circoscrive, in un determinato senso, la complessità e la fugacità del senso stesso. Senza un concreto soggetto che possa essere riconosciuto nella percezione all’interno del pensiero stesso, ciò che pensa, che parla è la forza predeterminante del trauma vissuto e non ancora veduto. Il desiderio di essere e di essere riconosciuto, la fuga dal rumore assordante dell’assenza di un punto fermo nella lettura di sé, l’angoscia della perdizione nel luogo dove ora credi di essere, distruggono quell’essere in cui non puoi più riconoscerti. Pietro abbisogna di riconoscersi con se stesso. Il problema sta nel fatto che egli non è consapevole del movimento causato da tale bisogno, ne è in balia. Lui fugge, ma da cosa? Io credo dalla presa d’atto di essere impossibilitato a riconoscersi come un soggetto proprio per il fatto che vuole dimenticare, come se non esistesse più se non come passato, il trauma di un amore desiderato e mai ricambiato da parte di suo padre e di sua madre: realtà agente che è propriamente la forma del suo essere, della forma del suo pensiero. La logica che risulta in fondo deviata si sorregge quindi sul desiderio e sul bisogno di sentirsi riconosciuto da se stesso e dal paradosso: ti sembra di essere, proprio per il fatto di non sapere cosa sei. Ha un desiderio vivo che cerca di realizzarsi nel luogo sbagliato, all’esterno anziché all’interno di sé. E questo è logico perché sa di non potersi fidare del suo sguardo proprio per il fatto che dal trauma si è innescato un processo di distruzione della propria immagine, essendo mancato un fondamentale riconoscimento che avrebbe dovuto precedere il suo io e di cui sarebbe stata la base. Da sempre non è stato riconosciuto per quello che lo caratterizzava, è esistito secondo l’immagine che l’altro arbitrariamente pretendeva, senza che esso (l’altro) riconoscesse il particolare in fiore di ogni nuova esistenza. Trauma del riconoscimento mancato dunque, e conseguente desiderio di trovarlo. Il materiale che dà l’illusione della concretizzazione di tale desiderio è ricercato fuori. Esso si rivela illusione non solo e non tanto perché è la stessa realtà esterna ad essere irreale, ma perché è l’occhio dell’osservatore che è allucinato. L’esterno su cui la percezione interna di sé si è momentaneamente allacciata si disfa inevitabilmente, perché per quanto tu possa fuggire da ciò che ti abita, esso è comunque sempre vivo dentro di te. Se poi ciò che ti abita è un trauma che agisce proprio sull’impossibilità del riconoscimento, è chiaro che ad un certo punto l’immagine precaria creata al momento è destinata a rivelarsi irreale, appunto perché in realtà non c’è un concreto soggetto consapevole di ciò che lo sta muovendo in un determinato modo. Egli è mosso. Dove ricercare la sensazione d’essere e di essere visto se non in un altro essere umano? Se non in quell’essere che più si avvicina alla sensazione di essere desiderati, nel caso di Pietro una ragazza? Così Ghisola sarà il materiale da cui Pietro dipingerà il suo quadro delirato di un senso folle. Ghisola sarà la fonte la cui acqua si avvicinerà più di tutte, senza mai necessariamente raggiungerla, alla purezza di ciò che da sempre è mancato e mancherà nell’essere di Pietro: amore esclusivo, disinteressato e riconoscimento. Totalità in grado di cristallizzare l’immagine: «perché non guardi sempre me?». Un quadro definitivo nell’immaginario. Il ruolo che Pietro attribuisce a Ghisola, senza che se ne possa rendere conto, è quello di un organo vitale, di struttura portante all’illusione di sentirsi esistere per ciò che egli è. Non può vederla come un essere altro da lui, non può riconoscere la sua alterità, la sua reale diversità.

Così Ghisola sarà il materiale da cui Pietro dipingerà il suo quadro delirato di un senso folle. Ghisola sarà la fonte la cui acqua si avvicinerà più di tutte, senza mai necessariamente raggiungerla, alla purezza di ciò che da sempre è mancato e mancherà nell’essere di Pietro: amore esclusivo, disinteressato e riconoscimento.

«Mi amerebbe ancora?». «Se tu non hai amato mai». Fusione totale. Niente possibilità dell’ignoto, del diverso. Puro amore non macchiato da altro desiderio che non dell’uno e dell’altro. Ella è l’oggetto indispensabile ad alimentare la follia dell’illusione di esistere senza sapere chi è veramente ciò che sta partecipando di questa esistenza. Ghisola è la figura immaginaria che compensa il trauma di Pietro, impedendo alla percezione di una mancanza definitiva di palesarsi in quanto realtà, e come tale ritarda tale consapevolezza nell’illusione di essere fuggiti da questa mancanza e di aver trovato realmente la compensazione del vuoto. Ghisola non è alterità perché è lei, nel quadro di Pietro, lo strumento prediletto per la realizzazione dell’opera: poter credere di essere arrivato senza sapere di essere in realtà ancora in fuga. Qui sta la follia di Pietro: rigettare ogni possibile infiltrazione del reale, dell’inconoscibile, che alteri l’armonia delle figure del quadro dell’illusione che garantisce senso ed esistenza. È il tentativo folle di tradurre nella fattualità del reale l’immaginario: «si sedé, alzando la veletta fino al cappello ed egli disse: levatelo! Ella lo posa sul canterano: “averla sposata subito! Com’era bella!”». Pietro s’infiamma al cedimento di Ghisola all’ordine imposto dall’immaginario di cui Pietro è governato. Ella cedendo conferma la possibilità della realizzazione dell’allucinazione. E questo non può che esser visto agli occhi di Pietro come logica conseguenza dell’amore che anch’essa prova per lui senza poter riuscire a sospettare dell’alterità di una stortura che caratterizzerebbe l’altro. Non c’è più spazio per la possibilità del dolore e della perdizione. Tutto deve essere perfetto secondo un determinato senso che in Pietro argina l’incombenza del dolore stesso che lo governa e da cui fugge: «vestiti (…) così mi piaci di più. Altrimenti non ti potevo baciare, lo sai!». Tradurre nel reale l’immaginario allontana la possibilità dello sfondamento del reale che sempre continua a premere e a cercare di sbranare la tela dell’iperidealizzazione. Fuori dalla possibilità del quadro, la morte: «se non ci fosse Ghisola io mi ucciderei». La possibilità di dover prendere atto dell’illusione di questo momentaneo esistere per essere di nuovo rigettato nell’oblio di sé, nella perdizione del punto definitivo tanto bramato, spalanca nella mente la morte. Meglio morire che non essere di nuovo più nulla. Non è un desiderio di morte dettato dall’amore, bensì dalla componente patologica del trauma che abita in lui. Non è tanto il perdere lei, ma il ruolo che le ha affibbiato senza rendersene conto: sostegno indispensabile al credo del proprio essere.

Meglio morire che non essere di nuovo più nulla. Non è un desiderio di morte dettato dall’amore, bensì dalla componente patologica del trauma che abita in lui. Non è tanto il perdere lei, ma il ruolo che le ha affibbiato senza rendersene conto: sostegno indispensabile al credo del proprio essere.

Parlano tra di loro senza la possibilità del dialogo. È possibile trovarsi in un discorso sostanzialmente taciuto, gravidi di una certa esperienza. Il caso permette l’incontro e ogni parola usata sarà una guida per indirizzare le strade il cui terreno è tacitamente condiviso, sentito. Un amore che cerca invece di trovarsi proprio nella materialità della parola: lo sforzo sarà incentrato sulla fissazione di certi concetti che dovrebbero farti sapere ciò che veramente sono e ti sta sfuggendo continuamente. Troppo diversi rispetto a qualcosa che ci ha effettivamente portato a stare insieme, diviene indispensabile la memorizzazione di ciò che nella mia diversità, connaturata e allo stesso tempo stonata rispetto alla tua, non posso sentire. L’unico dialogo vigente nel legame dei due è quello folle di Pietro, costruito fra due fantastici soggetti nel suo stesso pensiero. Il parlare veramente non sarà che infiltrazione di un dato di realtà che sempre preme al di là della tela il cui tessuto, in questo caso, non può reggere: «ma se non mi vuoi così perché…». «Perché ti voglio bene, non è vero?». E ancora: «egli l’abbracciò e la baciò. Ed ella gli disse: ma tu non ami proprio me. Egli non comprese e si abbatté su di lei chiedendole: perché dici sempre così? (…) non amo te dunque?». Egli non può comprendere ciò che Ghisola dice proprio perché si pronuncia dal lato esterno della sua reale alterità. È impossibile capire perché troppo esterno all’inquadratura perfetta in cui Pietro ha rinchiuso entrambi. E tuttavia non potendo fuggire ciò che egli stesso è, cioè sconosciuto di se stesso, se non con la morte, ecco che abbisogna della conferma di lei per ciò in cui Pietro ha necessariamente scelto di credere. Rimpastare i colori del dipinto equivarrebbe a perdersi nuovamente nello smarrimento di sé, assenza dell’immagine, naufragio del punto fermo, irrealtà che  realtà era stata creduta. Il loro legame li prescinde come soggetti. Alimentano vicendevolmente la fuga da se stessi. Perché Ghisola stia al gioco a parer mio non è dato saperlo. Infatti le descrizioni del pensiero di Ghisola, essendo indubbio che si tratti di una sorta di autobiografia, potrebbero essere l’ennesima fotografia del pensiero stesso del narratore che è Pietro, visto però dalla conseguenza della sua allucinazione. I dialoghi mostrano distanza a livello di comprensione. Come davvero poter dare fiducia alla descrizione che l’autore fa dell’altro se tutto il romanzo è incentrato proprio sull’impossibilità di vedere fuori di sé per via del trauma?

Egli non può comprendere ciò che Ghisola dice proprio perché si pronuncia dal lato esterno della sua reale alterità. È impossibile capire perché troppo esterno all’inquadratura perfetta in cui Pietro ha rinchiuso entrambi. E tuttavia non potendo fuggire ciò che egli stesso è, cioè sconosciuto di se stesso, se non con la morte, ecco che abbisogna della conferma di lei per ciò in cui Pietro ha necessariamente scelto di credere.

Un taglio squarcerà definitivamente l’irrealtà dell’amore di Pietro, il dipinto del suo credo. Ghisola gravida è affermazione inconfutabile del reale dell’alterità, dell’esterno, di tutto un mondo impuro che non avrebbe mai dovuto interferire nella totalità della purezza della relazione con lei. L’oggetto dipinto, l’oggetto Ghisola, è divenuto creatura umana tra le altre. Sfonda il confine del recinto immaginario delle due figure costruite all’interno del pensiero di Pietro. Un grado di realtà maggiore sovrasta la fissazione del punto definitivo del senso in cui Pietro si è rifugiato e il risultato è lo scompenso, inteso come “cedimento di un precedente equilibrio acquisito che non si rivela più idoneo a far fronte alla situazione che si presenta”. Infatti, frantumatosi il quadro in mille pezzi, divenendo consapevole che Ghisola non è ciò che è stata creduta, Pietro può non amarla più. Può anch’egli essere liberato dello stesso quadro in cui anche lui si era dipinto, conquistando una porzione di reale che sempre è da raggiungere, e che potrebbe incrementare l’immagine di sé. È la possibile fuoriuscita dalla predeterminazione del trauma che ha finora padroneggiato sulla credenza dell’essere del protagonista. Si apre la possibilità di una libertà mai conosciuta e sempre bramata. L’irrealtà così reale della logica folle è smembrata dalla presa di coscienza: non l’ama più. Non ci sono ulteriori inseguimenti, non ci sono tentativi, prospettive che facciano accettare una diversità che rimanga pur sempre nell’ottica amorosa. Lui sa di non amarla più proprio nel riconoscerla come soggettività particolare fuori da sé. Può prendere atto dell’autoinganno di cui egli con se stesso è stato vittima e carnefice. Può in fin dei conti essere un romanzo della possibilità d’esistere realmente. Pietro sta in realtà vedendo forse per la prima volta, altrimenti come riuscirebbe a prendere atto del suo disinnamoramento?


Immagine: Adolphe (The Sad Young Man), 1894 / Henri de Toulouse-Lautrec (MET collection OA)