Letteratura

Perec o della nuova gioventù


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I millennials sono la prima vera generazione globale, hanno tra i 24 e i 39 anni e ricordano per certi versi i figli della prima era capitalistica, i baby boomers, che, nati tra il 1945 e 1959, sono famosi principalmente per l’aumento dei beni di consumo e le rivolte sessantottine. Tuttavia, a differenza di quest’ultimi, i millennials, apparentemente intontiti, traducono il loro malessere in una sorta di disimpegno controllato: nessun motto e nessuna rivoluzione sembra interessarli, al dinamismo e all’azione preferiscono l’indifferenza e una certa letargia. Stravolti dal progresso, attraverso la nostalgia, ostentano al mondo una sovversiva e coraggiosa resistenza alla realtà. Pare una generazione a cui scappa di morire: un po’ come lo studente di L’uomo che dorme, romanzo di George Perec, uscito nel 1967. Il libro parla di uno studente universitario venticinquenne che il giorno di un esame decide di non alzarsi dal letto e di chiudersi in una solitudine forzata che dà il senso di libertà. Questo malessere insidioso, questa spossatezza insopportabile, che sarebbe legittimo considerare irragionevole, è in realtà il supremo tentativo di isolamento di un individuo che apparentemente vorrebbe bastare a sé stesso. Il suo sottrarsi alla storia sembra un atto di sovversione, un voler imporsi al mondo come presenza assente. Un ragazzo qualunque – non di certo uno di quelli che passa le ore di veglia a chiedersi se esiste e perché – un bel giorno si sente confuso e si ritrova immobile ad aspettare qualcosa senza ben sapere cosa. La sua vocazione alla calma lo avvicina a uno strano stato di misticismo, si incanta di fronte a un insetto, a una pietra o a una foglia caduta. A volte passa ore ad osservare, sezionare e descrivere un albero senza mai poterlo esaurire. Vuole svuotare di valore le proprie azioni, cerca di creare un cortocircuito nel formalismo del mondo. Il protagonista del romanzo, quattordici anni prima della loro nascita, è a tutti gli effetti il primo millennials ozioso.

I millennials, apparentemente intontiti, traducono il loro malessere in una sorta di disimpegno controllato: nessun motto e nessuna rivoluzione sembra interessarli, al dinamismo e all’azione preferiscono l’indifferenza e una certa letargia

Questo ragazzo raccontato da Perec desidera che non siano i gesti a rappresentarlo; l’atto viene separato dall’azione: l’abbigliamento, il cibo, le letture non definiranno più la sua esistenza. Prevenuto dall’agire si disillude dal progettare qualcosa che troverà già fatto; così il gesto orfano del pensiero diviene atto. Ma col passare del tempo ha anche dei momenti di nostalgia, sente che qualcosa gli sta sfuggendo; osservando delle foto trovate in un canaletto quasi gli scappa una lacrima, per quanto voglia disumanizzarsi non può prescindere dal mondo: resta un figlio, un amico, uno studente, un cittadino; così come i millennials è infelice e soffre lacerato dal desiderio. Prototipo delle psicosi giovanili il protagonista intraprende il proprio cammino esistenziale e alla fine del suo percorso comprende che nonostante tutto prima o poi  diviene necessario fare i conti con la realtà. Nello stesso modo anche i ragazzi nati dal 1981 al 1995 rappresentano la prima generazione completamente consapevole di  essere succube del mondo circostante, di essere schiava del consumismo e figlia illegittima della crisi; oppressi, non si nascondono dietro a un dogma ma investigano il circostante e tutti i giorni, identificandosi nel conformismo, rafforzano la loro individualità. È la generazione delle due ere. Hanno vissuto il passaggio dall’analogico al digitale e, a disagio in entrambi i luoghi, incapaci di avere un completo controllo sulle due realtà – così come il protagonista del romanzo – cercano un predominio sul mondo che non avranno mai. Sono relegati a osservare dalla falesia di un presente eternamente differito un futuro inaccessibile e un passato orbo; eppure è proprio questo posto privilegiato sulla retta del tempo che li ha portati ad avere una sensibilità fuori dal comune, sono tra i pochi ancora capaci di osservare all’orizzonte la vastità di un mondo possibile. Per questo a noi appaiono a disagio, disillusi ed eternamente fuori luogo; sanno e hanno accettato che è inutile lottare contro il tempo, che non esistono più eroi né martiri, che è necessario sentirsi parte di qualcosa per poterla poi abbandonare, che l’altro non fa paura solo se ci si guarda dentro. Per questo la loro pigrizia è tanto ossessiva quanto sovversiva, perché sanno, anche se solo inconsciamente, che l’ alterità è connaturata all’individuo e che solo attraverso l’osservazione e la solitudine collettivizzata sarà possibile un’evoluzione.

Hanno vissuto il passaggio dall’analogico al digitale e, a disagio in entrambi i luoghi, incapaci di avere un completo controllo sulle due realtà – così come il protagonista del romanzo –, cercano un predominio sul mondo che non avranno mai

Non ho idea se tutto ciò sarà positivo o negativo, lo reputo però inevitabile. Queste strutture di pensiero sono approcci alla vita che è facile riscontrare nell’osservazione empirica dei comportamenti di questi ragazzi, che ad una analisi superficiale possono sembrare semplici inquietudini generazionali. In realtà il dispendio passivo di energie da loro continuamente attuato produrrà un radicale cambiamento del mondo nel quale viviamo. Questo donarsi agli altri con consapevolezza per non tradire se stessi è a mio giudizio l’atto più rivoluzionario dell’ultimo secolo. Così come nella narrazione del romanzo l’io parla di sé nella seconda persona singolare anche i millennials allo specchio si danno del tu: oltrepassano le barriere linguistiche e cercando le differenze che ci costituiscono. Hanno sostituito il vuoto con un poliedro complesso, hanno dato forma alla massificazione scoprendone dei volti e delle individualità. Dispnoici, dal loro confine osservano l’orizzonte; la vastità è sempre un passo avanti, ma in cuor loro sanno che il “post” verrà sostituito dall’“oltre” e che prima o poi la pioggia cesserà di cadere.

No. Non sei più il padrone anonimo del mondo, quello su cui la storia non aveva presa, quello che non sentiva cadere la pioggia, che non vedeva venire la notte. Non sei più l’inaccessibile, il limpido, il trasparente. Hai paura e aspetti. Aspetti, in Place Clichy, che la pioggia cessi di cadere.


photo by Matteo Modica on Unsplash